Sono tornati i balconi della «Casa dei turchi»

Tolti i ponteggi: tutte le parti in legno erano state smontate e risanate La città ritrova intatto uno dei propri scorci più suggestivi e carichi di storia


di Luca Marsilli


ROVERETO. Celati alla vista per quasi un anno dalle impalcature del cantiere, i balconi della «Casa dei turchi» sono ritornati in questi giorni a impreziosire di sè lo scorcio più bello della città: quella infilata di Leno, ponte Forbato e castello che ha, sulla sinistra, proprio nel palazzo appeno restaurato la propria quinta se non più bella, certamente più curiosa.

Vecchi di almeno 400 anni (compaiono in un dipinto di Maffeotti Floriani del 1620), quei balconi a sbalzo sul torrente hanno, unico esempio in Trentino, delle tamponature in legno traforato. Origine della convinzione popolare secolare che avessero ospitato l’harem di un «turco», commerciante di seta e stabilitosi in città negli anni in cui era una delle capitali dell’industria serica europea. In realtà, hanno appurato gli studi storici compiuti proprio a margine dell’intervento di restauro, il gusto per l’esotico ed il pruriginoso hanno un po’ deformato la realtà.

In epoca di dominio veneziano, in quel palazzo avrebbero abitato delle famiglie di turchi: manodopera qualificata nella lavorazione della seta. Con i mariti al lavoro, le donne restavano in casa e gli armigeri di guardia al ponte le avrebbero apostrofate pesantemente. A quel punto, per tutelare l’onorabilità delle donne, i mariti decisero di schermare la vista di balconi e locali adiacenti con quelle cortine in legno traforato che permettevano il passaggio della luce ma non quello degli sguardi indiscreti. A quel punto, l’opera fu ralizzata a gusto loro.

Storia di secoli fa, appunto. E secoli che tra intemperie, umidità in salita dal Leno e tempo avevano minato sia la struttura dei balconi che le coperture intagliate. Fino a scoraggiare l’uso di quegli spazi e a vedere pezzi dei preziosi pannelli cadere nel greto sottostante.

Con l’avvio dei lavori di restauro, curati dall’architetto Riccardo Falqui Massidda, l’intero edificio è stato risanato dalle fondamenta. Rispettandone al massimo destinazioni degli spazi e materiali, in un recupero filologico di quello che diventerà forse il «monumento» più apprezzabile della città alla sua «Età della seta». I balconi in legno hanno seguito lo stesso destino. Smontati con la massima cura, tutti pezzi, numerati, sono stati spediti a Povo da una ditta specializzata che ha risanato il legname. Poi sono stati rimessi al loro posto, con una intelaiatura metallica, invisibile a lavoro finito, a garantire duraturo sostegno all’insieme.

Sono spazi che ora potrebbero essere offerti all’uso della città: proprietario e amministrazione comunale stanno ragionando sull’ipotesi di creare al primo piano del rinato palazzo una caffetteria, con affaccio sul Leno.

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