malaria

Sofia, si rischia una morte senza risposte

L’Azienda sanitaria: «Escludiamo incidenti durante il ricovero». A Trento gli ispettori del ministero. Decisivi i test del dna


di Chiara Bert


TRENTO. «Ci sentiamo di escludere che ci siano stati incidenti nel nostro percorso assistenziale», ha detto ieri il direttore dell’Azienda sanitaria Paolo Bordon, durante la conferenza stampa tenuta insieme al direttore sanitario Claudio Dario e alla primaria di Pediatria Annunziata Di Palma, al termine della visita degli ispettori inviati a Trento dalla ministra Beatrice Lorenzin. La morte per malaria della piccola Sofia Zago, 4 anni, potrebbe però anche restare senza un perché. «Caso criptico», lo chiama la letteratura medica: significa che non si è in grado di dimostrare scientificamente una causa. In Italia si parla di 10-15 casi in tutto.

«Sarebbe grave ma è possibile», ha confermato Bordon. «Faremo di tutto per arrivare alla verità, lo dobbiamo ai nostri operatori e alla famiglia di Sofia, che ha diritto a una spiegazione per la tragedia che sta vivendo. Ho sentito di nuovo il papà e auspichiamo che domani (ieri si è svolta l’autopsia, ndr) possano riavere il corpo della loro bambina per il funerale».

Le risposte del dna. La chiave per avere qualche risposta passa dall’analisi microbiologica dei campioni di sangue di Sofia e delle due bambine del Burkina Faso con la malaria (poi guarite) che sono state ricoverate negli stessi giorni in pediatria all’ospedale S.Chiara. Posto che il parassita malarico (il plasmodio) che le ha colpite è lo stesso, il più aggressivo, ora spetterà ai biologi dell’Istituto superiore di sanità tentare di identificarne il dna, lavoro che richiederà almeno una settimana: se emergesse che i ceppi sono diversi, questo escluderebbe un contagio dalle bambine, se invece fosse lo stesso, questa ipotesi tornerebbe la più plausibile. «Il problema è che mentre di Sofia abbiamo consistente materiale biologico (sangue e vetrini), delle altre due bimbe il materiale potrebbe non bastare perché i prelievi di sangue - una volta che la diagnosi è certa - vengono eliminati nel giro di una settimana», hanno spiegato i dirigenti dell’Azienda.

Gli ispettori al S.Chiara. La task force del ministero guidata dal dirigente Andrea Piccioli ieri è rimasta all’ospedale S.Chiara per circa due ore, ha ripercorso gli eventi, dal ricovero di Sofia, il 16 agosto, fino al suo trasferimento d’urgenza a Brescia, il 2 settembre. Gli ispettori hanno visitato i reparti di pediatria e microbiologia dove sono custoditi (sotto sequestro giudiziario) i campioni biologici, si sono fatti consegnare le cartelle cliniche, hanno parlato con medici e infermieri, visionato gli strumenti, ricostruito le procedure adottate anche attraverso simulazioni.

L’ipotesi dell’errore medico. Ieri Massimo Galli, infettivologo dell’Università di Milano e vicepresidente della Società di malattie infettive, ha parlato di «una siringa infetta» come «spiegazione più plausibile del contagio». E la procura di Trento indaga anche su aghi e strumenti usati durante il ricovero di Sofia. Un’eventualità, l’incidente, che l’Azienda sanitaria respinge: «L’errore può accadere, sarebbe grave - ha detto Bordon - ma più passa il tempo, più ci stiamo convincendo che non ci siano stati incidenti di percorso». «Siamo andati a scavare - aggiunge Dario - non c’è nessuna evidenza di rischio di un contagio per via ematica». Ergo: in campo resta il contagio da zanzara. Le trappole piazzate al S.Chiara hanno dato esito negativo: zanzare non ce ne sono, anche se non si può escludere che ci fossero nei giorni del ricovero di Sofia.

Annunziata Di Palma ha dipinta in volto la sofferenza di questi giorni, in cui continua a chiedersi: com’è stato possibile? «L’altra bimba del Burkina Faso ha la stessa età di Sofia, la differenza tra loro sta nella diversa memoria immunologica rispetto al parassita della malaria che le ha colpite», spiega.

I protocolli. Bordon ha chiarito che dopo questa tragedia per ora i protocolli per la malaria (non c’è isolamento dei pazienti perché il contagio non si trasmette da persona a persona, se non con consistenti quantità di sangue) non cambieranno: «Non si modifica una procedura senza sapere cos’è avvenuto, sarebbe pericoloso. Ma da un caso unico potrebbero però emergere esiti importanti per tutta la sanità».

I casi di malaria. Tra i 5 e i 10 i casi di malaria registrati ogni anno in Trentino dal 2000 ad oggi, tutti di importazione da Paesi a rischio. Di Palma ha confermato il caso di malaria in un neonato pakistano nel 2014, episodio inizialmente classificato come morte in culla: dalle indagini è poi emerso che si trattava di malaria. Purtroppo il bambino era arrivato in ospedale già morto.













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