LAVORO

Smart working, gioie (e dolori) della nuova frontiera del lavoro 

Il caso della settimana. L’organizzazione imposta dal Covid ha ormai preso piede, soprattutto nel terziario Molte aziende trentine ne stanno beneficiando e assumono, ma per altri settori (commercio e immobiliare) è il male


Luca Petermaier


Trento. Mentre scrivo questo pezzo mi trovo nel salotto di casa, in pantaloni corti, maglietta e con il gatto che mi fa compagnia raggomitolato vicino al computer. Ho appena finito un’intervista telefonica e mi appresto ad affrontare un colloquio su Meet. «È la stampa (in smart working), bellezza» - si potrebbe dire oggi, riadattando a questi strani giorni l’indimenticabile frase di Humphrey Bogart.

Ma, in realtà, è una larga fetta del mercato, non solo i giornali, che sta cogliendo le enormi potenzialità dello smart working, ben oltre il lockdown. A tal punto che assistiamo ad un fenomeno (ancora lento, ma percepibile) di condizionamento dell’organizzazione della società. Meno traffico nelle città, meno consumi energetici, accresciuto benessere famigliare. Ma ci sono anche i lati negativi: bar e ristoranti perdono clienti, senza studenti universitari gli affitti di case subiscono pesanti contraccolpi. Come ha evidenziato il nostro direttore Paolo Mantovan nel suo fondo di domenica scorsa, «il lavoro da casa ci ha già cambiati». Sì, ma come?

I risparmi delle aziende

Alla Cardioline, azienda con sede a Trento, leader nella produzione di elettrocardiografi e soluzioni innovative per “tenere sotto controllo” il cuore, hanno deciso che da ottobre chiuderanno la sede di Milano: «Risparmieremo sull’affitto e offriremo ai nostri collaboratori la possibilità di continuare con lo smart working oppure di occupare delle postazioni in co-working» - spiega il direttore generale Emanuele Ercoli. «Per un’azienda come la nostra il lavoro da remoto rappresenta una straordinaria opportunità di continuare ad essere efficienti e produttivi, offrendo ai nostri dipendenti più tempo in famiglia e maggiore elasticità organizzativa. L’importante è sapersi organizzare per obiettivi.» Un lavoro sempre da remoto, tuttavia, può anche finire per allontanare il dipendente dal comune obiettivo aziendale. Ecco perché, alla Cardioline, stanno per passare alla fase 2 dello smart working: «Da settembre introdurremo un lavoro da casa diffuso, ma con l’impegno per i dipendenti di venire almeno una o due volte in settimana in azienda in modo da mantenere vivo il rapporto tra colleghi».

A questo punto vien da chiedersi: ma la rivoluzione dello smart working è ormai irreversibile, a prescindere dal Covid? Per Ercoli, che a settembre introdurrà il cartellino elettronico, la risposta è sì: «Con le dovute attenzioni e garanzie, è un sistema in cui vincono tutti, lavoratori e azienda. Tornare indietro rappresenterebbe una sconfitta».

Smart working come richiamo

C’è un’altra azienda in Trentino che su questi temi guarda già oltre l’emergenza. Si tratta di “Euleria”, società che si occupa di tecnologie di riabilitazione digitale e che proprio in questi giorni ha pubblicato un (curioso) annuncio per la ricerca di un responsabile della comunicazione. Condizioni? «Assunzione full-time, con ruoli di responsabilità e che può lavorare anche da remoto». Dunque, lo smart working ora diventa anche una sorta di “lusinghiera attrattiva” nelle ricerche di personale. «Così facendo - racconta David Tacconi, fondatore di Euleria - abbiamo ricevuto 230 candidature da tutta Italia in pochi giorni. Per un’azienda che lavora in Trentino non è sempre facile attrarre alte professionalità, ma favorendo il lavoro da remoto il reclutamento diventa più facile perché si amplia il bacino di utenza. Noi siamo in smart working da subito - prosegue Tacconi - e l’esperienza funziona. Qualche problema ce l’ha chi, come me, è chiamato a organizzare il lavoro degli altri. È fondamentale darsi un metodo, procedere per obiettivi settimanali e controllare che vengano raggiunti. Fatto questo, il lavoro da remoto ha solo vantaggi, soprattutto per aziende di territori periferici che, in questo modo, possono competere a livello nazionale».

C’è chi dice no

Ma c’è pure chi, lo smart working, lo vede come il demonio (e ce ne occuperemo nei prossimi giorni). Sono quei settori dell’economia che vivono sul movimento delle persone. Bar, ristoranti, negozi, rischiano di perdere clientela senza la frequentazione della città. Lo stesso vale per il mercato immobiliare (di cui già ci siamo occupati) che, senza studenti, sta subendo un crollo. Di contro i prezzi delle case si stanno abbassando, tornando più umani, e probabilmente bar e ristoranti delle valli acquisteranno clienti e i borghi più piccoli acquisteranno più vitalità grazie alla delocalizzazione della vita urbana. Insomma: una rivoluzione è in atto. Vedremo se (e quanto) sarà duratura.













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