Se ne va con la figlia mamma condannata
Dopo la separazione era tornata in Sicilia con la neonata ignorando la decisione del giudice sul diritto di visita del padre alla piccola. La Cassazione dice «no»
TRENTO. Dopo la condanna in primo grado e quella in appello, ora arriva anche quella della Cassazione che stabilisce che, dopo la separazione, la madre affidataria non può non tener conto del diritto di visita del padre rispetto alla figlia piccola trasferendosi in Sicilia anche se per ragioni di lavoro. E nello specifico la Suprema corte scrive che «l’elusione dell’esecuzione di un provvedimento del giudice civile che riguardi l’affidamento di minori può concretarsi in un qualunque comportamento da cui derivi la “frustrazione” delle legittime pretese altrui, ivi compresi gli atteggiamenti di mero carattere omissivo, quando questi siano finalizzati ad ostacolare ed impedire di fatto l’esercizio del diritto di visita e di frequentazione della prole». Tutto ha inizio quando i genitori si separano. Il presidente del Tribunale di Trento stabilisce l'affido condiviso e decide di «collocare» la piccola nella casa della madre (in una valle trentina) regolamentando i periodi di affido al padre. La donna è siciliana ed è lo stesso presidente che, nella separazione, prevede che possa andare in Sicilia una volta alla settimana. Con un po' di elasticità. Ci sarebbero state - ha sostenuto nel giudizio il padre - delle violazioni a questi accordi fino ad arrivare al definitivo trasferimento della madre e della figlia nell'isola. Tutto questo senza avere il via libera del tribunale - necessario in questi casi - che è arrivato solo due anni dopo. E che ha modificato le condizioni della separazione disciplinando diversamente il diritto di visita del padre. Al centro della vicenda c'è il periodo precedente a questa modifica. In primo grado c'era stata la condanna della madre che di fatto aveva ignorato i provvedimenti definiti in fase di separazione. E anche per l'appello la sostanza è la stessa. «Va rilevato - viene scritto nella sentenza - che l'interesse tutelato da quei provvedimenti giudiziali che si assumono violati, deve essere ravvisato, in primo luogo, e soprattutto, in quello della minore che, considerata la tenerissima età, era certamente quello di vivere con la madre ma, altrettanto cogente e rilevante, quello di godere abitualmente e con continuità della presenza del padre». La donna era così ricorsa in Cassazione lamentando l’incompatibilità territoriale e l’illegittimità dell’obbligo di permanenza in un determinato territorio. Nessuno dei due punti è stato ritenuto ammissibile.