Santoro: ecco il mio «Servizio pubblico»
Giovedì prossimo alle 21 appuntamento anche su Rttr: «Racconteremo l'Italia vera»
TRENTO. Un appello raccolto da oltre 90 mila sottoscrittori. E un'inedita forma di azionariato popolare, con una raccolta fondi che sfiora il milione di euro: andranno a un'associazione che farà parte della società che produrrà le puntate. «Servizio pubblico», il nuovo programma "intermediale" di Michele Santoro che debutterà giovedì prossimo alle 21 anche su Rttr è già un successo. E il conto alla rovescia è scandito dai video inseriti nel sito della trasmissione, dall'inatteso cambio in corsa del titolo (originariamente doveva essere "Comizi d'amore", citando un famoso film-reportage di Pier Paolo Pasolini del 1965), oltre che dalle dichiarazioni del giornalista: «Non potevo continuare a lavorare contro la volontà del mio editore. Mi trovavo non solo a dover lavorare e fare profitti, ma anche a difendermi con i miei soldi dalle aggressioni dell'azienda, che usava i soldi che noi stessi avevamo portato nelle sue casse». E a proposito del mancato accordo con La7: «Chiedevano di sottoporre ogni nostra azione a verifiche del loro ufficio legale, in violazione dei contratti che tutelano l'autonomia dei giornalisti». In questa intervista, Michele Santoro racconta come sarà «Servizio pubblico».
Di che cosa si occuperà la prima puntata di "Servizio pubblico"?
È evidente che lavorare su una multipiattaforma, come stiamo facendo, significa trovarsi in un laboratorio, in un cantiere di ricerca. Di conseguenza la nuova formula sarà il risultato di una serie di approssimazioni. Anche perché non abbiamo potuto fare alcuna prova in studio.
La scaletta è già pronta?
Vedremo come organizzare il tutto. Vogliamo comunque provare ad accentuare l'elemento narrativo rispetto al bla bla degli ospiti in studio. Sarà un percorso meno strillato e più riflessivo.
Dunque più in direzione Lerner che Paragone...
Se si apre la Treccani, siamo noi ad essere indicati come coloro che hanno creato un genere televisivo che prima non c'era. Forse sono Lerner e Paragone a dover essere rapportati ai nostri programmi. E le imitazioni sono anche moltissime altre. E proprio perché ora avvertiamo degli elementi di stanchezza in questa formula, proveremo a produrre dei cambiamenti. È giusto cercare di rinnovarsi, forti della propria esperienza.
Ci saranno Marco Travaglio e Vauro?
Sì. E con loro Sandro Ruotolo e la squadra di "Annozero" al gran completo.
In queste settimane ha avuto contatti con la Rai?
Nessuno. Ma credo che sia giusto così. Questa nostra avventura non è solo un'impresa industriale, vuole essere qualcosa di più: un elemento a favore di una riforma della Rai. È il tentativo di rendere il mondo dell'informazione più libero dai condizionamenti del monopolio. La nostra trasmissione testimonia il decadimento della tv generalista. E il fatto che tanti cittadini ci stiano seguendo in questa avventura, ne conferma la natura politica nel senso alto del termine.
Il titolo inizialmente doveva essere "Comizi d'amore", in segno di omaggio a Pasolini. Perché poi ha deciso di cambiarlo in "Servizio pubblico"?
Il motivo è il successo straordinario del nostro sito www.serviziopubblico.it: già oggi, dopo poche settimane, come produttori di video originali siamo già al primo posto della classifica di internet. Mettiamo in rete tutto ciò che produciamo. Ed è un tipo di sperimentazione avanzata, non ci sono esempi paragonabili: il nostro sito non assomiglia in nulla a quelli della carta stampata o dei telegiornali. Questo successo del sito ci ha fatto pensare che avere un nome diverso per il programma potesse creare confusione.
E l'omaggio a Pasolini ora come si concretizzerà?
In realtà nel nostro lavoro c'è sempre stato: consiste nel ritenere che la verità è sempre distante dalla rappresentazione che se ne dà, contrariamente a ciò che ritiene la maggioranza del sistema politico italiano e anche di quello giornalistico, che gli assomiglia molto. Se si avvicina invece il microfono a persone che parlano della propria condizione con spontaneità, i risultati sono diversi.
Qualche esempio concreto tratto da "Annozero"?
Quando abbiamo fatto parlare gli operai sulle gru, o gli studenti che si ribellano allo sfascio della scuola e dell'università, è emersa la vera immagine di un Paese in crisi. Quando invece ne parlava Berlusconi... È evidente che quei lavoratori e quei ragazzi erano più vicini alla verità, ora lo può capire anche chi ha sempre votato Berlusconi e che, legittimamente, ha sempre creduto alle sue promesse. Ora si può fare una valutazione obiettiva e vedere chi ha raccontato come stavano effettivamente le cose. Altrimenti non si spiega perché oggi l'Italia sia un pericolo per l'intera Europa. La situazione è chiara, ed è sotto gli occhi di tutti coloro che non sono animati da faziosità preconcetta.
Vale anche per il terremoto all'Aquila?
Certo. Anche in quel caso abbiamo raccontato cose che altri non hanno avuto il coraggio di raccontare. Ricorda le celebrazioni di Bertolaso? Sembrava di trovarsi di fronte a dio in terra, mancava solo la fanfara fascista... Voglio dire che è legittimo avanzare critiche, se interessanti e fondate: magari poi si rivelano sbagliate, ma in democrazia è importante poterne discutere. È invece sbagliato espellere chi la pensa diversamente. Ed è ciò che accade in Rai, che per questo è sempre meno rappresentativa della realtà del Paese. Questo è il senso del servizio pubblico. E sarà il senso del nostro programma.
Ha visto domenica scorsa la prima puntata di "Report"? Si parlava di federalismo e dei privilegi delle autonomie speciali. Ve ne occuperete anche voi?
L'ho vista, certo: puntata interessante. Assieme a "L'infedele" di Gad Lerner, è un programma che va visto per apprendere cose di cui altrimenti, seguendo altre trasmissioni o leggendo i giornali, non si verrebbe a conoscenza. "Report" apre sempre orizzonti diversi, come Lerner, anche se Gad lo fa attraverso percorsi non sempre gradevolissimi. Ma sono programmi importanti, perché offrono chiavi di lettura della realtà sorprendenti. "Report" ha però una ragione sociale diversa dalla nostra: stanno fermi per molti mesi e possono così pianificare ed elaborare maggiormente i servizi rispetto a noi, che stiamo più sull'attualità e sull'agenda politica quotidiana. Detto questo, quelle delle autonomie speciali è un tema importante, specie in questa fase di crisi economica: sì, potremmo occuparcene anche noi.
A proposito di agenda politica: crede che il governo reggerà?
Francamente non lo so. E non mi sembra neppure giusto fare previsioni. Tutti dicono che noi giornalisti viviamo grazie alla presenza di Berlusconi, e che dovremmo quindi fare il tifo per lui, ma per quanto mi riguarda lavoravo con un certo successo anche prima della sua discesa in politica.
Allora mettiamola così: crede che il "berlusconismo" sopravviverà al premier?
Per me l'elemento fondamentale non è un'eventuale caduta del governo, bensì la nascita di un'alternativa credibile in cui gli italiani possano riconoscersi. Darei per scontata la fine del berlusconismo, ma vorrei essere tranquillizzato circa ciò che avverrà dopo: per restare alla Rai, ad esempio, sapere cioè se avremo soggetti politici in grado di interpretare in maniera nuova il tema. Anche per questo nasce il nostro "Servizio pubblico": per aggregare i cittadini che finora non hanno potuto far sentire la propria voce e impedire che si ripetano le procedure lottizzatorie che l'attuale opposizione non ha mai contrastato fino in fondo. Neppure quando era al governo.