Riva, il Bar Roma rinnega le slot machine

Giò Torboli: «Rinuncio a 2.000 euro al mese, ma non potevo più vedere persone che bruciavano lo stipendio in due ore»


di Matteo Cassol


RIVA. Dopo due anni di battaglia, Giovanni “Giò” Torboli, popolarissimo titolare del bar Roma di Riva, è riuscito nel proprio intento: liberare il proprio locale dalla piaga delle slot machine, le macchinette mangiasoldi che stanno mietendo tantissime vittime sociali anche in Trentino.

«Era – spiega il diretto interessato – una questione di principio. Ero stufo di vederle, mi urtavano e non le volevo più. Finalmente le hanno portate via e sono contento». Significativo e simbolico che per arrivare al “miracolo” di sfuggire a contratti capestro i si sia dovuta attendere una data irripetibile come il 12/12/12, giorno in cui è arrivato il nulla (più) osta per far sparire gli apparecchi. Nel caso particolare di Torboli, che inizialmente aveva cinque slot, col fornitore privato non ci sono stati problemi, perché c’era solo un accordo verbale rescisso poi senza problemi e amichevolmente; molto più complicato agire quando ci si trova di fronte ai colossi statali o parastatali che minacciano di toglierti (ad esempio) anche i Gratta e vinci se non ti fai installare le macchinette: “Giò” ha puntato sul compromesso indolore di farsi mettere per un po’ una seconda slot, pur di dimezzare il tempo rimanente di un contratto pluriennale che – come molti altri gestori – in realtà non si era mai accorto di aver sottoscritto, tra una firma per una formalità e l’altra.

«Ho preso la mia decisione – racconta il barista – quando sono cominciate a circolare tutte quelle storie di gente che si rovina senza rendersene conto, che si brucia lo stipendio in due ore. Sia chiaro, si buttano soldi anche con l’enalotto e coi gratta e vinci, ma è tutto un altro buttare». Oltre ad aver faticato e discusso per mesi, Torboli ha rinunciato anche a dei bei soldi: qualcosa come 1.500-2.000 euro al mese, e solo per le due slot rimanenti (all’inizio ne aveva più del doppio). Ma come hanno reagito i clienti? «Benissimo. Il mio è un bar di gente del posto: qualcuno a volte giocava, ma non si è certo lamentato. E quelli che venivano da fuori solo per giocare sono contento di averli persi».

Col suo gesto “Giò” lancia un duplice messaggio. Il primo è per i politici: «La verità è che lo Stato è il primo biscazziere, non ha interesse ad aiutarci e infatti non lo fa. Quelli che fanno campagna elettorale contro le slot dovrebbero prima informarsi su quanto sia difficile per i bar toglierle di mezzo. E qualche sindaco, anziché magari darci dei crumiri, potrebbe proporre come incentivo almeno uno sconto sulle immondizie o sull’Imu». Il secondo pensiero è per i “colleghi”: «Spero che la mia vicenda sia da esempio per chi magari ci sta pensando. È dura – conclude Torboli – ma si può». Quasi come per chi vuole smettere di giocare.

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