Risse, scissioni e partiti personali: i “camaleonti” della nostra politica

Dalla destra alla sinistra, vent’anni di cambi di casacca e di nuovi simboli poi scomparsi nel nulla Un panorama che dopo la dissoluzione della Dc non ha mai dato tregua agli elettori trentini


di Paolo Morando


TRENTO. In fisica, la scissione dell’atomo è materia da maneggiare con cura. In politica, al contrario, un po’ tutti vi si applicano con cura e abnegazione degne di miglior causa. A livello nazionale soprattutto a sinistra, dove spesso l’identità fa premio su concetti banali e prosaici come, ad esempio, la governabilità. In Trentino invece il principio della scissione è coltivato soprattutto lungo l’altro versante, quello che dal centro pende verso destra. E il perché è tutto sommato evidente: il potere, si sa, logora non chi lo detiene, ma chi non ce l’ha. Ripercorrere le vicende di lotte e guerriglie, incomprensioni e dissidi all’interno delle forze politiche di casa nostra è un impresa non banale: troppo numerose sono infatti le cronache di questo o quel distacco dei vari protagonisti dal proprio partito originario. Dal seguente campionario mancherà dunque qualcuno, e di inesattezze e dimenticanze si chiede dunque venia prima di iniziare. Anche se forse, in questi casi, agli interessati la memoria corta rende paradossalmente un miglior servizio.

La sinistra. L’ultima formazione, nata appena un paio di giorni fa, si chiama “Punto e a capo”. Ma c’è da scommettere che, nonostante il nome, non sarà l’ultima della serie. L’ha fondata Giovanna Giugni, consigliere comunale di Trento, che già un anno fa aveva lasciato l’Italia dei valori per divergenze con il vertice del partito. Resiste invece la sinistra “dura e pura” di Rifondazione e Comunisti italiani, anche se le loro tracce si sono un po’ perse. L’ultima apparizione alle recenti politiche, nell’ambito del fallimentare cartello elettorale di Rivoluzione civile. Di cui facevano parte anche i Verdi del Trentino, per la prima volta politicamente separati da quelli altoatesini, apparentati a Sel. Hanno avuto ragione loro, i sudtirolesi, che hanno portato a casa l’elezione di Florian Kronbichler alla Camera. Mentre Ingroia e compagni sono rimasti a secco in tutta Italia. Scissioni? Quasi nessuna. Ad eccezione di quella di Remo Andreolli, già segretario dei Ds (nel frattempo evolutisi in Pd), che cinque anni fa lasciò per tentare l’avventura in solitaria come candidato presidente di Democratici per il Trentino. Senza neppure sfiorare l’elezione: 1,95%. Vale invece la pena citare la lenta confluenza di quella che fu Democrazia proletaria verso il maggiore contenitore della sinistra, passando per Solidarietà. Tanto da portare già nel 1998 Roberto Pinter, attuale presidente del Pd, alla poltrona di vice di Dellai. E va ricordata anche la Rete, che nel ’93 spuntò ben quattro consiglieri. Per poi sciogliersi nei flutti progressisti.

Il centro. Tutto inizia in fondo un ventennio fa, con la dissoluzione della Democrazia cristiana. Che in Trentino (legislatura regionale 1993-98) portò a una frammentazione mai vista prima, con il glorioso scudocrociato diviso in più rivoli. E con i nove eletti di allora targati Dc, ma il cui gruppo scelse il nome di Partito popolare, transitati in gran parte al misto. Che infatti, a fine legislatura, in piazza Dante era quello più numeroso. Da allora trasformazioni e cambi di casacca non si sono più contati: Partito popolare trentino, il Centro-Upd, ovviamente la Civica Margherita di Lorenzo Dellai, l’Udc, e probabilmente qualche altro di cui ora sfugge il ricordo. Al pari di qualche simbolo. Un caos indescrivibile, ad anni di distanza. Al punto che, se la memoria non inganna, un giorno uno come Renzo Gubert ha rischiato di ritrovarsi alleato di D’Alema. Riaffiora anche il ricordo di un Abete, simbolo di un’alleanza tra centristi e autonomisti, che l’elettorato delle politiche del ’96 pensò bene di potare ancora prima che piantasse radici. E l’Udeur di Mastella? A un certo punto il suo leader trentino fu Giorgio Leonardi, ora del Pdl. Senza dimenticare però parabole significative come quella di Nerio Giovanazzi, portabandiera ancor oggi in Consiglio di Amministrare il Trentino, dopo essere passato via via per Pp e Centro-Upd, svoltando poi più a destra con Forza Italia, fino appunto all’ultima incarnazione. Ma anche Pino Morandini di casacche ne ha vestite numerose. Nomi che la memoria associa al cosiddetto “partito degli assessori” guidato da Valduga, appunto il Centro-Upd, eretto dagli sconfitti del congresso di Comano del Partito popolare in cui Dellai lanciò un’Opa vittoriosa sui resti fumanti della Balena bianca. Poi i rimasugli dell’ex area laica, da Alleanza democratica ad Alleanza per il Trentino, da Trentino domani ai Leali al Trentino. Il resto è cronaca dei giorni nostri, con il ciclone (o presunto tale) Silvano Grisenti calamita per centristi vogliosi di nuove avventure, a partire dall’ex capogruppo provinciale del Pdl Walter Viola e da un altro consigliere in uscita però da sinistra, Gianfranco Zanon dell’Upt. Mentre proprio l’Upt di Lorenzo Dellai, nel frattempo volato a Roma sotto le insegne di Scelta civica, è ancora indecisa sul da farsi: cambiare nome dopo appena una legislatura? Ad assistere con particolare interesse l’assessore Lia Giovanazzi Beltrami, transfuga dell’Udc in opposizione a Tarolli già animatrice di quell’associazione La Stella mai diventata un vero partito. Intanto sul versante destrorso, ecco un altro ex Pdl come Rodolfo Borga schierato assieme a Marco Sembenotti, eletto con la Civica per Divina, assieme nel tentativo di creare un nuovo polo: la Civica Trentina Autonomia e Libertà.

Gli autonomisti. Qui è davvero dura rimettere a posto i cocci. Da dove partire? Dal Pptt di fine anni Settanta dei vari Pruner e Fedel? Più che la memoria, in questo caso a soccorrere è il sito del Consiglio provinciale. Che segnala come all’inizio della decade successiva, nella legislatura 1983-88, si assistette alla prima scissione, con la fuoriuscita di Franco Tretter che diede vita all’Uatt. Ma anche Fedel nel frattempo aveva dato vita ad Autonomia integrale, che poi diventerà Lega autonomia Trentino. Cinque anni dopo ecco spuntare l’attuale Patt, che porta in Consiglio Andreotti, Casagranda e il sempiterno Tretter. Ma nel ’98, al netto dell’orologio fatale proprio a Tretter, lo scenario cambia ancora: sventolano pure le bandiere di Autonomia integrale-Far (che stava per Federazione autonomista regionale), che porta in Consiglio il solo Casagranda. Che risulterà però decisivo per la formazione della prima giunta Dellai. Erano 17 i consiglieri che avrebbero potuto sostenerla: 8 della Margherita, 5 dei Ds, Benedetti e Leveghi di Trentino domani, Muraro della Lista Dini e la verde Berasi. Mancava il diciottesimo: appunto Casagranda. Dopo il cambio del millennio, con la Dominici subentrata proprio a Casagranda nel frattempo deceduto, altro cambio di denominazione: ed ecco a voi Autonomia popolare. Mentre nel frattempo erano già fiorite le Genziane di Muraro e Pallaoro, sulle ceneri appunto, e chi l’avrebbe detto, della lista dell’ex presidente del Consiglio Lamberto Dini. Quattro righe per segnalare anche Trentino autonomista, con cui Andreotti nel 2003 contese a Dellai la presidenza. Mentre parallela a quella centrista di Giovanazzi, e in alcuni tratti convergente, ecco un’altra traiettoria paradigmatica: quella di Giacomo Bezzi, da leader del Patt a, chissà, candidato presidente per il Pdl alle prossime provinciali, dopo un passaggio a Roma per il centrosinistra grazie all’accordo politico con la Svp. Passando per dimenticate liste di italiani all’estero e anche, a inizio di quest’anno, per l’iscrizione ai Meetup “grillini”. Così, tanto per annusare l’aria che tirava.

Lega Nord e dintorni. Anche qui, di beghe e paroloni si è perso il conto. E dire che proprio il Carroccio sarebbe il partito dalla maggiore longevità: resiste ormai da oltre vent’anni, senza alcuna tentazione di mutare i propri verdi vessilli. Solidità peraltro solo apparente: impossibile infatti rifare un elenco anche solo parziale di fuoriusciti ed espulsi. Così, a volo d’uccello, si ricordano Denis Bertolini e le sue Valli Unite, lo stesso Muraro. Oggi del gruppo consiliare provinciale del Caroccio eletto nel 2008 resistono solo Savoi, Civettini e Paternoster, con Filippin nel misto ma lanciato sul Mir (quello di Samorì, non la stazione spaziale sovietica) e la Penasa che monitora i movimenti della consigliere altoatesina Artioli, pure lei alle prese con la creazione di una civica.

La destra. Non siamo ai livelli della Sarajevo bolzanina, con camerati di una vita ormai da anni l’un contro l’altro armati (politicamente, per carità), ma anche qui poco ci manca. Claudio Taverna, ad esempio. Da leader incontrastato del Movimento sociale a negletto avversario sotto simboli svaporati nel tempo, partendo da una propria lista personale e passando per i Pensionati, fino all’attuale Progetto Trentino libero, che avrebbe tra l’altro diffidato Grisenti ad utilizzare la denominazione con cui invece solca le cronache. E Zenatti, chi se lo ricorda più? Pare di rammentare che in Consiglio ci finì come esponente della Destra, quella “autentica” di Storace. Oggi comunque, piaccia o meno, tutto ruota attorno a Michaela Biancofiore, gratificata di un controverso sottosegretariato a Palazzo Chigi nonostante gli sfracelli combinati in Alto Adige e in Trentino, con il Pdl ormai ai minimi storici. E al cui interno ci sarà senz’altro chi ora pensa a nuove avventure politiche: appunto, la scissione dell’atomo.

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