Quello strano luogo chiamato «stazione»
La struttura firmata dall’architetto Angiolo Mazzoni è in bilico fra degrado e riguardo, fra passato e presente
TRENTO. La cura di un luogo sta spesso nel dettaglio. Che può segnare il confine tra sciatteria e riguardo. Tanto più se quello spazio, solcato da circa 5 milioni di passeggeri l’anno, più di 416mila al mese, quasi 14mila al giorno, è caratterizzato dalle linee razionaliste di un architetto come Angiolo Mazzoni. La stazione ferroviaria della città sta su quel crinale, tra attenzione e degrado, a scavalco tra modernità e contemporaneità dove agli elementi ormai storici si sovrappongono brutture funzionali e i dettami dettati dal marketing e dalla pubblicità. Fa quasi tenerezza, rispetto ad altro, appena entrati nel vasto atrio, notare, sulla sinistra, il grande orologio senza tempo. Le lancette non ci sono più, da tempo immemore. Dà quasi l’impressione di immergersi in uno spazio fluido e non segnato dai rigidi orari degli arrivi e della partenze, quasi un contrappasso. E’ non è il solo a mancare di ore e minuti.
Sui binari è lo stesso. Le ferrovie hanno incorporato gli orologi nei display che segnalano i convogli preceduti da quelle voci metalliche che fanno pensare quanto ormai i ferrovieri siano una “razza” in via di estinzione. Ma i segnatempo storici rimangono. Non manca, però, fastidioso più che mai, il ritornello pubblicitario che accompagna lo spot, sempre quello, per mesi. Fino al prossimo. Tanto che non si vede l’ora che il treno arrivi per lasciarselo alle spalle. C’è un richiamo al passato, che mette quasi allegria. Una lunga serie di telefoni pubblici targati Telecom. Qualcuno con la cornetta arancione spezzata. Chissà, atto estremo di luddismo. Forse una telefonata burrascosa o solamente gesto di qualche disperato che aveva finito i soldi. Le proteste, a volte, servono. Non c’è posto più frequentato di una stazione che i suoi cessi. Più di una volta ne è stato denunciata la sporcizia, almeno in passato. Ora, per quanto non siano un granché sono almeno puliti regolarmente. Una tabella all’ingresso segna giorni e ore, tra pulizia ordinaria e radicale. E gli uomini in abito da lavoro giallo, con sulle spalle scritto “cleaner” (evidentemente l’anglismo eleva rispetto all’italiano pulitore), si vedono. Non ancora, invece, gli operai elettricisti o manutentori che siano, per rimettere in azione un paio di pannelli segnalatori di arrivi e partenze che stanno lì, nudi e coi fili in evidenza.
L’ultimo treno arriva alle 22,58. Il primo della mattina parte alle 5. La biglietteria apre alle 5,40 e chiude alle 20,20 della sera. In mezzo il deserto. Se si è senza biglietto c’è l’automatico, ma solo per la rete regionale. Qualche tempo fa, in molti si erano lamentati visto che, dopo una certa ora, non era più possibile acquistare il biglietto dell’autobus. Adesso, almeno, alla pensilina fuori la stazione c’è un distributore automatico. Il vero obbrobrio è ai binari 4 e 5, gli ultimi arrivati, segnalati con posticci cartelli direzionali di carta. Una colata di cemento da far ribrezzo. Un cantiere, laterizi compresi. E devono pure avere sbagliato le misure. Quando scendi dal treno sei costretto a saltare. Benedetto Mazzoni, era l’architetto delle Poste e dei telegrafi, ma sapeva fare pure le stazioni.
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