Prestito contestato, in Itas tutti i vertici sapevano 

Le foto dimostrano come anche Consoli fosse presente alla firma del patto che prevedeva il finanziamento al 2% annuo da 12,5 milioni da parte della Vhv



TRENTO. Un accordo che è costato il posto al presidente di Itas Giovanni Di Benedetto, ma che era a conoscenza di molti, il vicepresidente Giuseppe Consoli in primis. Quello firmato il 16 febbraio 2016, al termine del consiglio d’amministrazione di Itas Mutua, dallo stesso Di Benedetto e dai due consiglieri d’amministrazione Peter Lütke-Bornefeld e Uwe Reuter, rappresentanti del colosso tedesco delle assicurazioni Vhv. L’accordo prevedeva che il gruppo tedesco versasse nella casse dell’Itas un finanziamento di 12,5 milioni di euro che si andavano ad aggiungere ai 2 milioni e mezzo già versati nel 2012, quando Vhv entrò in Itas come socio sovventore, come l’Isa o Btb. Però tra i due interventi economici c’era una grossa differenza. I due milioni e mezzo erano capitale di garanzia e, quindi, versati in perpetuo nelle casse di Itas. I 12,5 milioni versati in forza dell’accordo del 2016 erano a titolo di finanziamento. In altre parole, un prestito che Vhv faceva a Itas per puntellare la solvency traballante a causa dei due rami italiani della Rsa.

L’Ivass all’epoca aveva chiesto di aumentare la solvency, ovvero il capitale a garanzia dei premi. E la compagnia aveva emesso un bond da 60 milioni. Forse un po’ troppo sottostimato. Per questo si chiese aiuto ai soci tedeschi che, però, si rifiutarono di versare ancora soldi come capitale di garanzia, cioè come soci sovventori. Dopo mesi e mesi di trattativa venne trovato un accordo che prevedeva l’intervento dei tedeschi con un prestito di 12,5 milioni di euro al 2 per cento all’anno. L’accordo prevedeva una way out, una via d’uscita per i tedeschi che possono riavere i soldi a partire dal 2026.

L’accordo non venne pubblicizzato. Ed è stato usato poi per far saltare Di Benedetto in novembre, ma ora spuntano le foto che dimostrano come il presidente non avesse fatto tutto da solo. Alla firma c’erano anche l’allora direttore generale Ermanno Grassi, dimessosi nella primavera 2017 quando è esploso il caso Itas, e, soprattutto, il vicepresidente Consoli che nei corridoi di Itas in autunno mostrava di non sapere niente di questo accordo.

Da notare che, quando l’accordo venne a conoscenza di tutto il cda, molti avevano interpretato questo patto come la possibilità per i tedeschi di uscire da Itas quando volevano. Forse anche per questo motivo, per non suscitare proteste, i 12,5 milioni di euro vennero registrati come capitale e non come finanziamento da terzi. Una mossa che non spostava molto dal punto di vista della solvency, visto che i soldi entravano lo stesso in Itas, ma che forse aveva un impatto di immagine. Fatto sta che quella firma è stata la goccia che ha fatto perdere il posto a Di Benedetto e ora mette in imbarazzo Consoli. (u.c.)















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