Pochi e anziani nel convento semivuoto

I Cappuccini della Cervara sono rimasti in 15. Padre Beniamino: «Una carestia di vocazioni. Ci aiuta la fede»


di Luca Marognoli


TRENTO. Padre Beniamino, il cuoco del convento, oggi ha fatto polenta e funghi. Porcini e finferli donati da un amico dei frati. Negli anni, in via Cervara, i piatti da portare in refettorio sono diventati sempre di meno: «Siamo rimasti una quindicina, quasi tutti anziani: 70, 80 fino a 94 anni. Il più giovane? Sulla cinquantina». Il giardino al centro del chiostro è perfettamente curato: erba tagliata, alte e robuste piante di rose rosse, le palme, gli ulivi... un panorama quasi gardesano. Ma anche qui c'è l'aiuto di una persona che non porta la tonaca, spiega il religioso. «Una volta c'erano l'ortolano, il cantiniere, i questuanti. Oggi non più. I frati sono invecchiati e manca il ricambio. Si spera che lo Spirito Santo mandi qualcuno”. E il frate “da zerca”? «Quello non esiste più da tempo: con l'introduzione della pensione sociale ne è venuta meno l'esigenza».

Anche l'edificio circostante, realizzato come attesta una scritta sul campanile nel 1842, è in gran parte inutilizzato. «Un'ala è chiusa», spiega padre Beniamino, 65 anni, di Gardolo, frate dal 1963. «Molte stanze nel tempo sono state allargate. Ai tempi si aveva solo un baule, oggi è diverso...».

La situazione del convento di Trento riflette quella della provincia: «Siamo una cinquantina in tutto, mezzo secolo fa saremo stati 120... Così si cerca di chiudere qualche fraternità. Dove siamo presenti? Oltre che qui, a Terzolas, in Primiero a Rovereto e Arco. Eravamo stabili anche nella casetta accanto alla chiesa di San Lorenzo, ma oggi la adoperiamo per fare il caffè».

Se i numeri calano, non viene meno l'impegno, pur nelle difficoltà legate soprattutto all’avanzare dell’età. «Dove si arriva, si va», commenta il frate. «L'apostolato lo continuiamo a fare, anche se in modo limitato».

La giornata in convento è scandita dai momenti di preghiera, ma anche di presenza nella comunità. Un servizio prezioso. «Alle 6 c’è la sveglia, alle 6 e mezza si va in chiesa per le lodi, alle 7 viene celebrata la messa. Dopo la colazione ognuno va ad occuparsi dei suoi uffici: io in cucina, uno sta in portineria, padre Fabrizio nelle carceri, altri a confessare a San Lorenzo o in ospedale, a fare visita ai malati . Ci si ritrova per il pranzo, alle 12.30, e il pomeriggio si torna alle proprie attività. Alle 19 ci si rivede per i vespri, seguiti dalla cena e da un momento di ricreazione: si guarda il telegiornale o si fa dell'altro, poi si va nelle proprie stanze».

Ogni sera la mensa esterna apre le porte a 170 persone: se ne occupa un gruppo di volontarie e volontari, assieme a padre Fabrizio. Vengono persone di tutte le religioni, molte senza dimora, che già alle cinque e mezzo si mettono in fila per la cena. Tra loro stranieri ma anche trentini rimasti senza lavoro o ridotti sul lastrico da una separazione, che hanno finito per ingrossare le fila dei nuovi poveri, gli stessi che a pranzo trovano un pasto caldo al Punto d’incontro di via Travai.

E qualche giovane che bussa alla porta spinto da esigenze spirituali? «Qualcuno capita e lo si indirizza a un frate che possa dargli un aiuto. Chi vuole confessarsi di solito va a San Lorenzo, perché qui siamo in salita. Al giorno d'oggi è diminuita la fede... Siamo un gregge disorientato da tutto quello che succede: le guerre, le ideologie... Tante persone vanno alla ricerca di qualcosa, ma sono nel buio, allo sbando...».

Il crollo delle vocazioni è un fenomeno assodato. Difficile capire se sia una tendenza che potrà essere invertita, sulla spinta di un nuovo bisogno di dare senso alla vita o da una rinnovata istanza di spiritualità. «È come nelle carestie: può darsi che ci sia una ripresa. Chiedendo aiuto a “quello di sopra”», rivolge il dito al cielo padre Beniamino. Ma da “sopra” di segni ne arrivano? «Lui ne dà, perché la fede è sempre presente. Sta alle persone coglierli e trasformarli in parole ed azioni».

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