in rotaliana

Picchiato (il vero) agente dell’Enel

Il procacciatore d’affari aggredito dal padrone di casa dopo aver suonato al campanello per proporre una nuova tariffa



TRENTO. Si era presentato alla porta dell’appartamento dell’uomo per offrire i vantaggi offerti da Enel per le bollette. Ma invece di essere allontanato con un semplice «non mi interessa» si è trovato spinto contro il muro sbattendo la testa contro lo stipite di marmo. Può essere anche pericolosa la vita dei cosiddetti «procacciatori d’affari» che passano di casa in casa promuovendo un prodotto piuttosto che un altro. In questo caso, poi, non è stato l’unico a farsi male visto che l’aggressore - che ora è a processo - dovrà rispondere pure di violenza a pubblico ufficiale visto che se l’è presa pure con due carabinieri.

Ma facciamo un passo indietro per ricostruire quello che è successo. Era il febbraio scorso e nella zona della piana Rotaliana era in azione un procacciatore d’affari dell’Enel. Uno di quelli «veri» con tanto di tesserino di riconoscimento e incaricato di promuovere i vantaggi dei servizi offerti dall’azienda. Nel suo giro il venditore si è trovato così a suonare alle porta di quest’uomo. Sono bastate poche frasi per scatenare - così è stato denunciato - la reazione violenta del possibile nuovo utente. Che ha cacciato in malo modo il procacciatore spingendolo con forza tanto da fargli sbattere la testa contro lo stipite di marmo della porta.

All’uomo non è rimasto altro da fare che chiamare i carabinieri che quando sono arrivati lo hanno trovato ferito e dolorante. Hanno così a loro volta suonato il campanello dell’appartamento. Anche in questo caso si è aperta la porta e il padrone di casa ha continuato ad inveire contro il procacciatore d’affari, rifiutandosi di dare la carta d’identità agli agenti. Anzi, cercando di chiudere la porta avrebbe colpito alla gamba uno dei due carabinieri. Non solo, avrebbe chiesto più volte che gli venisse mostrato il tesserino dei due militari e avrebbe fatto anche una telefonata di controllo alla centrale operativa dell’Arma (probabilmente temeva si trattasse di una truffa con finti militari).

Alla fine l’uomo è stato portato in caserma e solo qui avrebbe finalmente fornito nome e cognome. Dati che sono serviti quindi per denunciarlo per resistenza a pubblico ufficiale e per il rifiuto di fornire le proprie generalità. Reati per i quali ora è a processo.













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