Pesce del Garda: affare a rischio estinzione
Richiestissimo sui mercati, ma occorre limitare i sistemi di cattura aggressivi
RIVA. Pochi lo sanno, ma da qualche anno a questa parte, sul Garda, stanno aumentando i pescatori professionisti. Dopo decenni di crisi nera, la pesca con le reti (e altro) sta tornando ad essere remunerativa, grazie al moltiplicarsi dei ristoranti che propongono, nei loro menù, il pesce di lago: soprattutto coregone, luccio e sarde, le specie ancora relativamente fiorenti. Crescono i pescatori, dunque, ma diminuisce - eccome! - la materia prima: più per l'inquinamento, probabilmente, che per altre motivazioni. Nel Garda trentino, professionisti della pesca non ce ne sono. Gli ultimi, a Riva e Torbole, si sono ritirati (o sono morti) da qualche anno. Ma ciò non toglie che questo ritorno allo sfruttamento commerciale del patrimonio ittico nel cosiddetto «basso lago», non stia preoccupando i pescatori dilettanti dell'alto Garda, che invece sono qualche centinaio. Non è un caso - quindi - che anche l'Associazione Pescatori Basso Sarca e gli Amici della Tirlindana di Riva si stiano impegnando non poco, assieme ai sodalizi «dilettanti» di oltrefrontiera (trentina), per correggere in senso restrittivo il regolamento della pesca su lago di Garda, che è norma solitamente codificata dalla regione Veneto (quella che vanta il maggior numero di pescatori «professionali») e poi ratificata dalla regione Lombardia e dalla Provincia di Trento, magari con qualche «distinguo». Questo impegno si è formalizzato nei giorni scorsi con la sottoscrizione di una lettera-proposta (firmata, assieme ai «trentini», dalle principali associazioni di pescatori gardesani) che chiede alle autorità competenti delle tre realtà amministrative lacustri di consentire, attraverso modifiche del regolamento, soltanto «un'attività di pesca sostenibile e compatibile con i naturali cicli biologici di riproduzione». «Siamo convinti - dice il rivano Alberto Rania, presidente degli Amici della Tirlindana - che la principale fonte di pericolo per il patrimonio ittico gardesano sia costituita, oltre che dall'inquinamento, dall'attività di pesca professionale. L'attrezzatura impiegata consente infatti il prelievo di grandi quantità di pesce, nemmeno paragonabili a quelle catturate dalla pesca per hobbie». La lettera alle autorità chiede comunque limitazioni per entrambe le categorie. Senza addentrarsi nelle specifico (che è materia da esperti pescatori), basterà dire che - per i dilettanti - si reclama il prolungamento dei periodi di divieto di pesca per certe specie, la riduzione del numero di capi giornalieri pescabili, l'aumento delle misure minime per pesci pregiati come la trota e il luccio. Divieto assoluto per cinque anni, inoltre, della pesca dell'alborella: anche se questo pesce una volta frequentissimo, bisognerà probabilmente reintrodurlo nel Garda, visto che secondo gli esperti è ormai estinto. Per quanto invece riguarda la pesca professionale, la richiesta delle associazioni sportive riguarda anche in questo caso le misure minime e i periodi di rispetto (da allungare), ma soprattutto l'abolizione di certe reti, a maglia sottile, in grado di fare autentiche stragi di pesci. Molto interessante, infine, l'ipotesi di introdurre nel regolamento anche il divieto di commercializzare, trasportare e vendere nei pubblici esercizi le specie ittiche durante il periodo in cui non è consentita la relativa cattura e in ogni caso inferiori alle misure minime. Se un ristorante o una pescheria rischiano multe salate - spiegano i pescatori dilettanti - si colpiscono di riflesso gli eventuali bracconieri che potrebbero rifornirli.