Pdl, Santini accusa: «Il loro garantismo nasconde collusioni»

Il senatore: non mi ricandido, ma rivorrei Monti premier Respinte anche le offerte dei “transfughi” legati a Pisanu


di Paolo Morando


TRENTO. Dice Giacomo Santini che potrebbe ancora votare per Berlusconi, se la smetterà di attaccare quel Monti per il quale ora batte il suo cuore. Ma l’incontro con la stampa per il bilancio conclusivo della sua esperienza parlamentare a Roma e in Europa, in cui ha confermato che non si ricandiderà alle politiche (pur rivelando che dall’area dei vari Pisanu, Frattini, Quagliariello in libera uscita dal centrodestra un’offerta gli è arrivata), si è subito trasformata in uno strepitoso atto d’accusa verso il Pdl di cui è senatore uscente. Un partito con tanti, troppi mascalzoni e delinquenti, pur senza pronunciare queste precise parole e senza fare nomi («non vorrei passare i prossimi anni inseguito dalle querele»). E un partito sui temi della giustizia prono ai diktat continui di un capo sempre più circondato da personaggi imbarazzanti. Ora, è davvero sorprendente pensare a tutto il tempo in cui Santini ha rivestito i colori “azzurri” dopo quanto ha detto ieri. E che deve aver senz’altro covato a lungo. Certo, c’è l’attenuante dei dieci anni a Bruxelles, lontano insomma dai veleni romani («in via dell’Umiltà in 18 anni ci sono stato appena quattro volte»). E anche dal 2006, una volta a Palazzo Madama («esperienza frustrante: un partito ottundente e decisioni in mano solo ai capigruppo»), l’ex giornalista si è sempre tenuto distante dai temi-trincea del Cavaliere, preferendo occuparsi di politiche comunitarie. D’altra parte, basta rileggersi il suo commento dello scorso novembre, all’indomani della vittoria di Obama alle presidenziali Usa: «La sconfitta di Romney conferma che l’èra dei miliardari arroganti, classisti e razzisti che pensano di comprare il consenso con il denaro è finita, anche in America». E grazie a quell’“anche” non serviva troppa malizia per scorgere un polemico parallelismo tra il candidato repubblicano e l’ex premier. Ma il Santini di ieri, che dice d’essersi recentemente informato grazie ai servizi televisivi di “Report” e ai rapporti di “Cittadinanzattiva”, ha ricordato a tratti un collega cronista da lui distantissimo: un certo Marco Travaglio.

Il Pdl e la giustizia. Testuale: «Vige un falso concetto di garantismo per il quale, nel partito, nessuno è mai colpevole di nulla. E quando viene indagato qualcuno del Pdl, i giudici sono sempre in malafede e i politici vittime e martiri. L’ordine di scuderia è uno solo: tutti innocenti, sempre. Ma non è detto che sia così. Se qualcuno accumula avvisi di garanzie e condanne per reati che nulla c’entrano con il mandato politico, io m’insospettisco». E qui Santini non tralascia un riferimento «a un importante esponente del Pdl», vicinissimo a Berlusconi, «che compare spesso in tv». Lo ha anche reso abbastanza riconoscibile, con un preciso dettaglio anatomico, ma niente nomi: il personaggio in questione è effettivamente avvezzo alle aule giudiziarie, meglio starne distanti. Capitolo Alfano: «Non è un fenomeno, ma sembrava l’unica via d’uscita al post-Berlusconi. Quando è stato nominato segretario, in molti speravamo in lui. E sottolineo “nominato”, perché nel Pdl in tanti anni non abbiamo mai eletto nessuno, solo scelte dall’alto». Ma il segretario, racconta Santini, s’è presto segnalato per due uscite incaute. La prima, dicendo in assemblea di volere un partito pulito. «E attorno a me - rivela il senatore - sentivo i commenti dei colleghi parlamentari: ma è impazzito, s’è bevuto il cervello...». La seconda, all’annuncio di quelle primarie poi mai svolte, affermando che in caso di candidati con pendenze giudiziarie lui non ci sarebbe stato. «E lì - spiega Santini - per il povero Angelino è stata la fine di tutto». Infine, ancora testuale: «Quando conosceremo le liste del Pdl per le politiche, vedrete quanto numerosi saranno i candidati già condannati, con precedenti a carico, o accusati di collusioni mafiose. E vedrete, saranno tutti ai primi posti. Questo falso garantismo del Pdl nasconde complicità, collusioni e coperture. Grillo è un maleducato, ma capisco chi lo vota: la gente è stanca di questi metodi politici». Che comprendono anche la mancata modifica della legge elettorale: «Finalmente l’accordo c’era, poi qualcuno ha deciso di provocare la fine della legislatura per poter continuare a sistemare i propri amici in Parlamento, come un boss». Indovinate chi è quel qualcuno?

Il partito in Trentino. Per Santini un altro capitolo doloroso. E altri sassolini grossi come macigni. Una nascita «scellerata», quella del Pdl, perché ha al tempo stesso «snaturato un partito di forti tradizioni come An» e «mortificato il movimento liberale di Forza Italia». A Roma come in Trentino, dove pure secondo Santini ha preso il sopravvento la componente proveniente dalla destra, «più organizzata». E qui, tra l’altro, più marcatamente caratterizzata dalla tradizione missina, quella sponsorizzata da Alemanno. Che cosa avesse a che fare Santini con un Cristano de Eccher, per dire, in effetti non lo si è mai capito. Al congresso provinciale che portò all’elezione come coordinatore di Giorgio Leonardi, ricorda il senatore, «dissi chiaramente che andava evitato lo scontro muscolare tra i duri di An e il gruppo che faceva riferimento a Comunione e liberazione, augurando a tutti che il vincitore tendesse poi la mano al perdente». Ma così non è stato. «Ha vinto anche qui la logica della Prima Repubblica: tessere e correnti. E chi non la pensava come loro è stato emarginato. O si è poi allontanato dal partito». E qui un’altra amara previsione: «Alla fine l’attuale Pdl, se va bene, prenderà poco più dei voti che aveva An». Come dire: ne valeva la pena? Per Leonardi poche parole, ma al veleno: «Gli auguro di maturare in educazione e formazione politico-giuridica: ha chiesto le mie dimissioni, dimenticando che dietro di me non c’è alcun primo dei non eletti e che servirebbero elezioni suppletive nel collegio che mi ha votato».

Monti e gli scenari futuri. Per il presidente del Consiglio, «inglese-tedesco nato per caso in Italia», Santini stravede. E non nasconde che lo rivorrebbe a Palazzo Chigi: «Perché solo lui è in grado di rappresentarci in Europa - afferma - lo ho visto all’opera come commissario tra il 1994 e il 2004, prima al mercato interno e poi alla concorrenza: nessuno era più temuto di lui, basta ricordare la multa di 500 milioni di euro che inflisse a un colosso come Microsoft». E col tono dell’“io l’avevo detto”, il senatore ricorda quell’incontro estivo del Pdl a Malga Brigolina, nel 2011, quando disse che in Europa avevamo perso ogni credibilità, che l’Italia stava messa peggio della Grecia, che il Cavaliere avrebbe fatto bene a dimettersi prima di essere sfiduciato. E che solo Monti poteva salvarci. «Ora Berlusconi gli dà del traditore, ma in realtà ha salvato la faccia dell’Italia e anche la sua: dovrebbe smetterla di attaccarlo solo per inseguire l’accordo elettorale con la Lega Nord». Dalle urne, pronostica Santini, uscirà un Parlameno ingovernabile, «pieno di soggetti imprevedibili, che non ne conoscono le regole», a partire dagli eletti del Movimento 5 Stelle: «Un vero circo equestre». Con equilibri instabili, come nel 2008: «Sarà una legislatura breve, per questo è meglio che almeno per un anno o due sia ancora Monti a guidare il governo». In una replica della “strana maggioranza” dell’ultimo anno. Mentre Lorenzo Dellai, scegliendo di schierarsi con il premier, «ha fatto una scelta coerente». E dall’ex governatore, nessuna chiamata? Nessuna proposta di candidatura nel raggruppamento centrista? «Nessuna», taglia corto Santini. Che non ha alcuna intenzione di rimettersi in gioco neppure alle provinciali del prossimo autunno.

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