politica

Pd, vince il “no al congresso” Ma in 800 fanno appello a Letta

L'assemblea ha deciso a maggioranza di rinviarlo a dopo le elezioni provinciali, come chiesto dalla segretaria Lucia Maestri


Luca Marsilli


TRENTO. È una situazione che piacerebbe molto al Moretti di Palombella Rossa. È meno rispettoso delle regole chi chiede in modo regolare di derogare alle regole, o chi in modo non regolare chiede di non derogare? È quello che sta succedendo al Pd Trentino e a dover decidere, ammesso che nella tragedia nazionale trovi tempo e energie anche per il dramma minimo nostrano, è la segreteria Letta.

L’assemblea provinciale del partito, l’organo chiamato a rappresentarlo, si è riunita mercoledì sera. Sul tavolo la questione congresso: le cariche attuali sono in scadenza e il rispetto dello statuto richiederebbe un congresso in primavera. Ma a ottobre si vota per le provinciali e sono in corso ormai da tempo contatti e trattative che hanno i propri artefici e garanti all’interno del gruppo dirigente attuale. Come è costume, il Pd si è spezzato in due fazioni l’una contro l’altra armate: congresso comunque oppure rinvio. I circoli cittadini si sono confrontati e a larga maggioranza hanno scelto il rinvio. L’assemblea, mercoledì sera, dopo lungo confronto e acceso dibattito, ha fatto lo stesso: con 43 voti favorevoli, 11 contrari e 3 non partecipanti al voto, è stato approvato il documento del coordinamento provinciale che propone di «chiedere al PD nazionale che la fase congressuale apertasi a livello nazionale possa, per il Trentino, essere avviata non appena concluse le elezioni regionali dell’ottobre 2023». Quindi, nel pieno rispetto delle regole dello Statuto, l’assemblea formula la richiesta di derogare alla regola dello Statuto che chiede il rinnovo delle cariche alla scadenza del mandato.

Parallelamente la componente di minoranza, consapevole di essere minoranza, all’assemblea si è presentata forte di 800 firme raccolte in pochi giorni (anche il numero è contestato, ma queste sono banalità da contabili e che siano 800 o 600 la sostanza non cambia) per chiedere “dal basso” che si onorasse la tradizione e si andasse a congresso. Sconfitti in assemblea, coloro che le firme hanno raccolto annunciano ora che manderanno tutto alla segreteria nazionale, perché assieme alla richiesta della assemblea, valuti anche quella “della base” e decida quale delle due assecondare. Quindi nel meno rituale dei modi possibili, perché si è tentato prima di rovesciare con una spallata di piazza un organo rappresentativo regolarmente eletto e in vigore e perché ora non se ne rispetta la decisione presa democraticamente e a larga maggioranza, i “dissidenti” chiedono che venga rispettato lo Statuto.

Deciderà Roma, appunto. Ma il pronostico è tutto per la linea maggioritaria. Non fosse altro perché le prossime provinciali il Pd vuole provare a vincerle, e scaricare una intera classe dirigente assieme ai circoli delle città più grandi del Trentino a pochi mesi dal voto non sembra il modo più lineare per farlo.

Lucia Maestri, segretaria che in sostanza chiede di essere prorogata di sei o sette mesi, dalla primavera a novembre, ha proposto di sostituire il congresso con un’ampia conferenza programmatica, aperta alle altre forze di coalizione: «parliamo di programmi - ha detto all’assemblea - di quello che serve ai cittadini del Trentino, invece che parlare di noi stessi». Ovvero, confrontiamoci tra noi, con i territori e con le altre forze politiche, ma facciamolo cercando di porre le basi per vincere le elezioni provinciali, non accoltellandoci per decidere chi dovrà essere candidato o dovrà entrare negli organismi del partito.

In verità la distanza tra i due gruppi non è così solo di principio come entrambi la presentano. In ballo c’è anche l’eterna lotta tra un gruppo dirigente «storico» e uno che spera di prenderne il posto. E quella altrettanto tradizionale nel Pd Trentino tra chi è più aperto alle coalizioni e disposto a pagarne il prezzo e chi invece ritiene che un ruolo di centralità (numericamente indiscutibile) non possa che esplicitarsi nel pretendere candidati propri. Alle ultime politiche il Pd Trentino ha raccolto un risultato straordinario, se paragonato a quello medio nazionale, accordandosi con Renzi e Calenda, ma per farlo ha dovuto cedere di fatto i collegi contendibili a due candidati non propri: Patton e Conzatti. Allo stesso modo, aveva portato a casa la vittoria a Trento e a Rovereto, ma sostenendo Ianeselli e Valduga che uomini del Pd non erano. Con lo stesso spirito Maestri e «i suoi» stanno lavorando anche in vista delle provinciali. Cosa che non piace a chi pensa che si possa anche perdere, ma non continuare a eleggere altri solo per avere l’illusione di essere vincitori.

Volendolo prendere seriamente quindi, lo scontro in atto è generazionale, di metodo e anche di visione politica. Alberoni direbbe, tra apocalittici e integrati. Più popolarmente, Ligabue ricorderebbe che si nasce incendiari e si muore pompieri. Forse il Pd avrebbe bisogno dell’energia degli incendiari ma anche dell’intelligenza politica dei pompieri.

A favore del rinvio, ultima nota, anche un argomento tecnico: di fatto il Pd Trentino e quello nazionale, i loro congressi non li hanno mai fatti in parallelo, ma sempre sfasati di un anno. Questione di nascita: 2007 il Pd nazionale, 2008 il Pd Trentino. Ma, dicono i trentini, anche di merito: l’autonomia pone obiettivi e temi diversi, da dibattere in sede locale, non sovrapponibili a quelli nazionali. È la specificità che ha permesso di allargare alle ultime politiche l’alleanza a renziani e calendiani, costituendo un caso unico nazionale. Letta aveva lasciato fare allora. A maggior ragione, visti i risultati, è prevedibile che lasci fare anche oggi. Sperando che da Trento possa venire la prima buona notizia per il Pd che rinascerà dalle ceneri delle ultime elezioni nazionali.

 













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