Pd, l’intesa slitta: scontro sugli incarichi
Veti reciproci tra scalfiani e roboliani. Filippi: «È ora di chiudere». Ma la convocazione dell’assemblea ancora non c’è
TRENTO. La convocazione dell’assemblea ieri sera ancora non era arrivata, segnale inequivocabile che l’accordo che la presidente del Pd Lucia Fronza Crepaz sabato dava per fatto, fatto non è. Elisa Filippi, che ha ricevuto il mandato per costruire una segreteria unitaria, ieri è tornata a chiedere che si vada in assemblea al più presto, possibilmente già domani com’era stato ventilato nei giorni scorsi: «Per me quello resta il luogo del confronto, io i miei incontri li ho fatti, mi sono fatta un’idea delle istanze delle altre due mozioni ed è arrivato il momento di verificare con franchezza e chiarezza le posizioni. Poi vada come vada». I 44 voti necessari a diventare segretaria Filippi potrebbe averli, ma sarebbero risicati: «Il problema non è numerico - ribatte lei - il punto è la condivisione politica del progetto».
Per l’esponente renziana quello che si doveva discutere in queste due settimane è stato discusso e non c’è più tempo da perdere per uscire dalla crisi del partito che ieri è entrata nella sua quarta settimana. C’è una segretaria, Giulia Robol, politicamente sfiduciata dall’assemblea che all’unanimità le ha chiesto di dimettersi, la quale è pronta a dare le dimissioni solo se si chiuderà l’accordo su Filippi segretaria.
Ma quell’intesa, come si diceva, ancora non c’è. Dopo giorni di confronto, quando sembrava che tra i tre protagonisti - Robol, Filippi e Vanni Scalfi - l’accordo reggesse, la situazione ieri è tornata ad impantanarsi. Oggetto dello scontro i nuovi organigrammi, ovvero chi gestirà il partito da qui al 2018. «Robol e Gigi Olivieri vogliono stare nel coordinamento, a queste condizioni noi non ci stiamo», è la posizione degli scalfiani. Ma dall’area di Filippi filtra la notizia che gli scalfiani vorrebbero la presidenza - carica di garanzia che deve ottenere la maggioranza in assemblea - per lo stesso Scalfi. «Solo falsità», replica l’interessato. In un gioco di veti e ricatti, di unitario sembra essere rimasto davvero poco. «I principi sono già stati indicati nella prima assemblea - ricorda Filippi - si è parlato di azzeramento e rinnovamento delle cariche di vertice. Ricordiamoci che se siamo arrivati a questo punto è perché la maggioranza che ha guidato il Pd ha ammesso il proprio fallimento». Quanto al coordinamento, avverte «è diverso, è un organo eletto dall’assemblea, i componenti si possono votare in blocco ma anche ciascuna mozione i suoi. Difficile mettere veti». A due mesi dalle comunali di maggio c’è una partito sempre più in crisi, attanagliato da scontri personali prima ancora che politici.
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