«Oltre alla droga rivalità razziale»

La Spada (Cinformi): molti di loro si associano ai compagni solo per solidarietà


di Luca Pianesi


TRENTO. Razzismo, lotta tra etnie e giri di droga: sembrano queste le ragioni dei feroci fatti di violenza degli ultimi giorni. «All’origine degli scontri - racconta Pierluigi La Spada (nella foto), coordinatore del Cinformi, il centro informativo per l’immigrazione della Provincia, che si occupa di accoglienza e integrazione dei cittadini stranieri - c’è molto probabilmente una lotta per il controllo di alcune zone di traffico e di spaccio della droga unito, però, a questioni etniche. I gruppi che si stanno affrontando, infatti, sono quello composto dai tunisini e quello composto dei subsahariani, di colore, fuggiti dalla Libia l’anno scorso. I pestaggi e i regolamenti di conti che stanno accadendo in questi giorni, vedono costantemente ingrossarsi le fila di entrambi i gruppi. In particolare quello dei profughi della Libia. È legittimo pensare che molti di loro nemmeno siano al corrente degli interessi legati alla droga ma si associno ai compagni per solidarietà e rivalità razziale». Dopo gli scontri di domenica, infatti, il nostro giornale aveva intervistato uno dei ragazzi del “gruppo libico” che aveva testimoniato come ad ogni incontro con i tunisini questi li ricoprivano d’insulti in arabo. «Ma noi l’arabo lo capiamo - aveva spiegato - avendo lavorato per anni in Libia. Non c’entra la droga, loro ci odiano per il colore della pelle e noi reagiamo».

«Per la legge italiana - aggiunge La Spada - per i primi sei mesi di permanenza nel nostro Paese, i migranti non potevano essere impiegati in nessun tipo di lavoro. Quelli arrivati in Trentino, che sono 202, hanno raggiunto i nostri centri accoglienza nell’agosto 2011. Quindi, da marzo, sarebbero tutti nella condizione di essere impiegati in svariati tipi di attività, ma in realtà nessuno ha un’occupazione. La crisi economica li sta tenendo ai margini lasciandoli più esposti a derive criminali. Noi del Cinformi stiamo facendo fare loro corsi di formazione e di lingua italiana, garantendo vitto e alloggio, come da normativa europea. Dal 31 dicembre, però, scade la “condizione di emergenza” e dovrà essere lo Stato a decidere quale sarà il loro destino».

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