Olivi: «Voglio un patto per il commercio»

L’assessore: nessuno in Europa è privo di regole come l’Italia, decreto Monti disastroso per i diritti e non serve alla ripresa


di Giuliano Lott


TRENTO. Non ne fa una questione personale, l’assessore Alessandro Olivi, benché la legge per il commercio che porta il suo nome, varata quasi due anni fa, sia oggi messa in discussione (o meglio, superata) dalle disposizioni del decreto Salva Italia. La sua però non è, dice lui, una difesa d’ufficio, ma una questione di sostanza. «Nel dibattito che si è aperto il tema è stato affrontato solo da un punto di vista tecnico-giuridico. Mi preme far capire che se la legge trentina non è così liberalizzatrice, quella di Monti non lo è affatto. Stabilisce solo un’assenza di regole». Se venisse recepita dalla Provincia, cosa può accadere? «Passerebbe il principio che l’autonomia trentina può essere violata e superata ad ogni legiferazione dello Stato. É un principio insidioso. Se si abolisce ogni residua tutela al pluralismo d’impresa, in Europa dovrebbe valere lo stesso principio. Invece, come conferma un report che stiamo preparando, non c’è nazione europea altrettanto demandata alla libertà totale come l’Italia». Potrebbe essere un punto di vantaggio, per le imprese italiane. «C’è un problema di fondo. Quando è nata, due anni fa, la legge trentina appariva come un forte balzo in avanti. Se ne parlò in tutta Italia. Ma quella legge conteneva anche una serie di tutele, delle regole ispirate ai principi della qualità del lavoro, della compatibilità sociale e ambientale di una liberalizzazione che all’epoca era più spinta di quella del resto d’Italia». Cosa intende dire, assessore? «Che è in gioco qualcosa di più che gli orari e le aperture domenicali dei negozi. Se non ci sono più regole ne traggono vantaggio le catene della grande distribuzione, che possono fare grosse economie di scala in virtù della loro dimensione e organizzazione. Il piccolo e medio imprenditore ne può venire sfavorito». Duque il decreto Salva Italia? «É una legge sbagliata, che non aiuta a crescere. Andavano invece aiutate le piccole e medie imprese attraverso una forte sburocratizzazione e l’allegerimento della pressione fiscale. Monti aveva annunciato liberalizzazioni di settori più importanti, come energia e trasporti, ma non si è visto nulla. L’unica è stata condotta sul commercio, il settore più facile. Austria, Germania e Svizzera hanno normative che consentono a regioni e città di darsi regole proprie in materia di commercio. Mi sono confrontato con gli operatori trentini, dall’Uct alla grande distribuzione (Sait, Orvea, Poli, Paterno) e tutti, esclusa Confesercenti, sono contrari alla liberalizzazione di Monti e ritengono la legge provinciale più equilibrata. Ma non basta dire di essere d’accordo. Alle imprese e al mondo trentino chiedo di condividere questo protocollo d’intenti». E perché dovrebbero, visto che la legge nazionale consente meno limiti rispetto a quella provinciale? «In assenza di regole i lavoratori vengono schiacciati. Se si può lavorare ogni giorno con qualsiasi orario, non può venire riconosciuto lo straordinario. Ci sarà un’appiattimento verso il basso. La legge trentina invece prevede una formula di condivisione che mette allo stesso tavolo imprenditori e sindacati. Servono regole, buone pratiche condivise». La liberalizzazione ha costi elevati? «Le regole debbano nascere “dal basso”, valorizzando il territorio. Non voglio imporre limiti, ma creare una cultura associazionistica. C’è da tutelare non solo la concorrenza e il pluralismo d’impresa, ma anche i lavoratori, che finiscono stritolati dove “tutto è libero”. Non è solo una questione di orari e di domeniche aperte. La legge trentina tiene presente un modello ideale di sviluppo, mentre il generico “liberi tutti” fa solo il gioco della grande distribuzione. Alla quale abbiamo messo un freno con quello che è il vero cuore della nostra legge». Cioè? «La pianificazione commerciale, che dà libertà estrema nei centri storici, nell’ottica di una valorizzazione, e dall’altra impone dei vincoli ambientali, urbanistici e di valutazione integrata alle grandi superfici del commercio».













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