Nomadi in città, «abusivi» e dimenticati

Un centinaio vive nei parcheggi e sotto i viadotti. E le microaree restano nel cassetto


Chiara Bert


TRENTO. Sotto i viadotti della tangenziale, all'interporto, nei parcheggi. Nascosti agli occhi dei più, ma per molti fin troppo visibili. Si scaldano con le bombole a gas, si lavano come possono. Stendono i panni tra gli alberi. Sono gli zingari di Trento, quelli che da anni hanno scelto di vivere fuori dal campo nomadi di Ravina, lasciato perché troppo pieno di gente e di problemi. Trentini da generazioni, nella maggior parte dei casi. Abusivi per necessità. Un centinaio, secondo gli ultimi dati.

La legge provinciale per l'integrazione di sinti e rom, approvata nel 2009, primo firmatario il consigliere Mattia Civico, ha istituito le «microaree» da destinare ai nuclei familiari residenti in Trentino da almeno 10 anni: un tentativo di superare l'abusivismo e di sottrarre queste persone all'illegalità attraverso un patto di diritti e doveri. Allacciamento a luce e acqua e servizi igienici in cambio del rispetto delle regole, dei bambini mandati a scuola, e di un contributo per le spese. Spetta ai Comuni individuare le aree adatte. Ma parlare di nomadi fa paura a chi amministra. Perché gli zingari sono un tema scomodo, più ancora degli immigrati.

Nell'immaginario di noi gadgè sono quelli che rubano, che non mandano i figli a scuola, che usano i bambini per l'elemosina.Accade, ce lo dicono l'esperienza diretta e le notizie della stampa. Ma è diventato uno stigma per un'intera popolazione che quotidianamente deve difendersi da accuse ingiuste e infondate. A Trento il problema non ha fortunatamente le dimensioni delle grandi città come Roma e Milano, dove gli sterminati campi nomadi sono diventati ghetti e in qualche caso luoghi di morte, e dove negli ultimi anni ha dominato la politica degli sgomberi.

E tuttavia resta difficile, per chiunque ci sia entrato almeno una volta, non definire un ghetto il campo di Ravina, per il quale il Comune spende 180 mila euro all'anno. Confinato ai margini sulla città, da una presenza di 130 persone gli abitanti sono progressivamente scesi a meno di 70. Alcuni sono andati a vivere in alloggi, ma un centinaio si sono adattati con roulotte e camper in aree abusive e in condizioni durissime, senza acqua, luce e servizi. Dalla Motorizzazione all'ex Zuffo, dalle gallerie di Piedicastello alle Ghiaie di Gardolo, dall'ex Enderle a Monte Baldo, alla rotatoria di Nassiriya: accampamenti abusivi spuntati come funghi. Spesso tollerati perché l'alternativa non c'è.

Nell'estate 2010 fu il presidente del Centro storico Melchiore Redolfi a denunciare pubblicamente la situazione: «Non possiamo continuare a rimandare, il problema va affrontato». Altri presidenti, Corrado Paolazzi a Gardolo e Lucia Maistri a San Giuseppe, si sono detti disponibili a discutere di microaree anche sui propri territori.

Il sindaco Alessandro Andreatta annunciò che la sperimentazione sarebbe partita a breve, ma la promessa è via via slittata. Costantemente rinviata nell'agenda del Comune, fino al vertice di maggioranza dello scorso settembre, quando l'ala centrista della coalizione (Upt-Patt-Udc) ha imposto lo stop, ben espresso dal consigliere Frachetti (Patt): «Non è il momento, le risorse sono poche. Non ha senso prendere certi impegni, la gente non capirebbe e noi ci rimetteremmo in termini di immagine».

Il sindaco prese tempo («Non sono una priorità»), poi si affrettò a smentire qualunque dietrofront («Spero che entro dicembre si possa andare in commissione con una proposta»). Da mesi la giunta ha affidato un incarico ad hoc ad un suo dirigente, l'architetto Paolo Penasa, ma sull'esito silenzio assoluto. Intanto un altro inverno è passato nei campi abusivi. Senza acqua, luce e riscaldamento. Anche per i bambini che la mattina si svegliano e vanno a scuola.













Scuola & Ricerca

In primo piano