Nicoletti: «Io lascio ora serve una squadra»
Il segretario attacca: «Stop rese dei conti, la linea l’abbiamo decisa insieme» Pinter? «Serve un cambiamento anche nelle responsabilità organizzative»
TRENTO. Questa volta Michele Nicoletti se ne va davvero. Niente dimissioni “finte”, come in tanti nel Pd hanno sussurrato in questi giorni di choc post-sconfitta. In molti hanno pensato al replay di fine marzo, quando il segretario eletto deputato rimise il mandato ma alla fine fu chiamato a restare perché non c’erano i numeri per eleggere nessun altro al suo posto. Nicoletti lascia e attacca per tentare di arrestare la resa dei conti esplosa dentro il partito.
Segretario, la reazione alla sconfitta alle primarie sta lacerando il partito. Come se ne esce?
Io ho riconosciuto la sconfitta e mi sono assunto la mia responsabilità invitando tutti i dirigenti a fare lo stesso. Ho fatto questo per evitare che cominciasse una resa dei conti che invece pare avviata. La situazione ha preso una piega che non mi piace. In questi giorni di difficoltà ho ricevuto messaggi di persone che mi hanno detto “mi iscrivo al Pd”. C’è invece chi, mentre la nave vacilla, pensa ad abbandonarla o a mettersi al timone. Dobbiamo decidere se vogliamo salvare noi stessi o il progetto.
Torniamo alla sconfitta. A mente fredda qual è stato l’errore? Di linea politica come sostiene Zeni?
È stata un’occasione mancata, ma in politica le occasioni non nascono dal nulla. Nessuno ci ha regalato la possibilità di avere una guida del Pd per la Provincia, è stata un’occasione costruita con un lavoro di quattro anni, di un partito che è il primo della coalizione. E voglio essere chiaro: abbiamo deciso di andare in questa direzione tutti insieme, spesso all’unanimità, non è stata la linea di Nicoletti.
Cosa le è pesato di più delle critiche di questi giorni?
Sentire qualcuno dipingere il coordinamento del Pd come la “cupola”, la casta. È indegno perchè dentro ci sono giovani, anche precari, che hanno lavorato volontariamente come il sottoscritto. E ho sentito giudizi ingenerosi sulla struttura, che è ridotta all’osso e ha lavorato sabati e domeniche compresi. È il partito di tutti, attenzione a non demolirlo.
C’è chi dice che avete perso perché erano primarie finte. Non era lei a volere le primarie aperte?
Avremmo potuto fare un percorso diverso se fossimo stati da soli, certo io l’avrei desiderato. Ma non si può ragionare di modelli ideali, e noi abbiamo privilegiato il rapporto con la coalizione. E quando si sceglie una strategia, poi serve un impegno a sostenerla che non c’è stato.
Di chi è la responsabilità?
Moltissimi nel Pd non hanno capito cosa c’era in gioco, forse non siamo riusciti a far capire che queste erano primarie vere.
Da Miorandi a Tonini, molti dirigenti hanno spiegato di non aver fatto campagna elettorale per via del loro ruolo.
C’è un problema che riguarda gli amministratori. Sfido chiunque a dire se in questi anni il Pd che ho guidato abbia interferito nell’azione amministrativa dei sindaci. A Miorandi, che ho letto avrebbe voluto le mie dimissioni molto prima, dico che io ho fatto campagna elettorale per lui e l’ho difeso quando è stato attaccato da Dellai. Mi spiace che lui e Rovereto non abbiano capito l’importanza di sostenere un candidato come Alessandro Olivi e quello che avrebbe rappresentato anche per la città.
Torniamo all’oggi. Nel Pd convivono anime e linee diverse. Come se ne esce?
È giusto che si apra un dibattito sulla linea politica ma il luogo dove farlo sarà il congresso che eleggerà i nuovi dirigenti. Quello che serve oggi è mettere in campo una bella lista aperta a mondi nuovi e proposte programmatiche che diano alla coalizione tutta la cifra politica e sociale del Partito democratico.
Serve anche un segretario. Le sue sono dimissioni vere o finte, come sostiene qualcuno?
La formula con me segretario parlamentare non ha funzionato, ne serve un’altra, transitoria, che ci porti al congresso. Un gruppo di persone, con gente nuova. Sia chiaro che nessuno scappa. Ma il modo migliore per gestire questa fase, anche simbolicamente, è che le mie dimissioni siano vere e che ci sia un reale cambiamento anche nelle responsabilità organizzative.
Come farete a trovare queste persone, in un partito diviso in correnti?
Non con il bilancino. Dobbiamo recuperare un po’ di senso pratico, non accapigliarci per le mostrine di colonnello o generale. Cerchiamo le migliori persone per ogni ruolo. Serve una persona che tenga i rapporti con la coalizione? Una che curi i rapporti con Roma o con i mondi economici? Qualcuno che si occupi di comunicazione? Non mi interessa se è vecchio o nuovo, ma che sappia farlo.
Da più parti nel partito si chiede anche al presidente Pinter di rimettere il mandato. Lei ci ha parlato dopo le primarie?
Cercheremo di arrivare all’assemblea del 28 luglio con una riflessione vera e unitaria. Poi dal punto di vista personale ognuno farà le sue scelte.
Rossi è il candidato della coalizione ma da Pd e Upt non pare esserci per ora grande convinzione a legittimare la sua vittoria. È così?
La legittimazione formale è nella carta d’intenti con cui tutti ci siamo impegnati a considerare vincolante l’esito delle primarie. Altro è la legittimità sostanziale di un leader che si sostanzia se tutti i partner della coalizione si sentono coinvolti su programma, squadra e metodo. Ho fiducia che questo avverrà. Il centrosinistra autonomista esce dalle primarie come soggetto vitale rispetto a quello che c’è nel resto del panorama politico.
A Roma il Pd è tornato a dividersi sulle dimissioni di Alfano. Giusto “salvarlo”?
Io ero contrario ad un governo politico con Berlusconi, ma ero in minoranza e mi sono adeguato. Penso che le mediazioni sono necessarie sulle politiche economico-sociali, ma sulle istituzioni non le condivido. Qui serve un profilo più rigoroso del Pd.
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