«Nessun recinto ma una mano tesa»
Passerini e Bertolli: «Giusto punire, no alle derive razziste»
TRENTO. Non recinti ma mani tese. Vincenzo Passerini, ex presidente e volontario del Punto d'incontro, invita a non voltare le spalle allo straniero che cerca disperatamente aiuto e a non metterlo nella casella dei “cattivi” solo perché vicino alle panchine dove dorme è stato malmenato e rapinato un trentino. Dopo l’aggressione di domenica mattina in via Gazzoletti, la rabbia della gente ha spinto a invocare «recinti tra noi e quella teppaglia» o a chiedere di «prenderli tutti e gettarli a mare». Ma fare di tutta l’erba un fascio non è la risposta da dare, dice l’ex assessore provinciale: «Si può capire l'indignazione del momento, ma le persone devono fermarsi e distinguere fra chi commette crimini e la stragrande maggioranza che cerca lavoro e tenta di ricostruire qui una vita che nel loro paese la guerra, la fame e le persecuzioni hanno distrutto».
Serve umanità e coerenza: «C'è questa sindrome d'assedio che le notizie di sbarchi possono ingenerare nella pubblica opinione, però non possiamo commuoverci per i profughi di Afghanistan, Libia, Eritrea o Siria e quando ci chiedono un aiuto proporre di ucciderli in un altro modo. Queste guerre e repressioni che ci sono, dal Nord Africa al Vicino Oriente, sono la nuova guerra mondiale: le conseguenze si ripercuotono su tutti. Fa parte del senso di umanità l'accoglierli. E se tra loro ci sono banditi e delinquenti, quell'umanità non può venire meno. Quando ci sono massacri e persecuzioni le persone fuggono: non abbiamo mai avuto tanti siriani come adesso e lo stesso è avvenuto qualche anno fa con i bosniaci o gli eritrei, che fuggono da una dittatura spaventosa».
Passerini dice no alla violenza: «Nessuna sottovalutazione o giustificazione di quello che è successo. A Trento non si è abituati ad essere aggrediti in questo modo: non bisogna negare, ma fare il possibile perché queste cose non accadono. Tutte le forme di controllo e sicurezza vanno adottate: è un diritto sacrosanto che i cittadini possano muoversi in tranquillità. D’altra parte bisogna far sì che si offrano posti letto a chi è costretto a dormire all'aperto perché non ha soldi né un luogo dove stare. Se si desse loro un riparo per la notte - e Trento ancora non ne offre abbastanza nei dormitori - si potrebbero controllare meglio quelli che vanno in piazza, invece, per aggredire e rubare. Dobbiamo cercare di dare accoglienza e seguire le persone in difficoltà più che si può. Allora si contribuirà a limitare il degrado».
Pacate anche le riflessioni di Claudio Bertolli, presidente dell’associazione Volontarinstrada: «La cosa più importante è che i responsabili vengano individuati al più presto. Se non c'è la certezza, chi passa può pensare siano tra le persone che vede lì nel parco, quando al 99% non c'entrano assolutamente niente. Non è nell’indole dei senza dimora comportarsi in questo modo. Di solito ad agire è gente di passaggio, che subito dopo se ne va. Trento è un “buco” e fanno presto a trovarli...». I volontari sono abituati alle obiezioni della gente: «Bello il vostro lavoro - ci dicono - ma con questi profughi c'è una situazione di insicurezza. Vai tu a spiegargli che non possono lavorare finché non viene loro riconosciuto lo status di rifugiato politico e intanto devono passarsi le giornate». Bertolli crede che quella repressiva non sia l’unica risposta: «I controlli ci vogliono, ma non va tralasciato il percorso di inclusione sociale, il fare in modo che queste persone non siano emarginate o si emarginino da sole. Se si vedono stigmatizzate è peggio: con il dialogo si possono risolvere i problemi, non puoi caricarli su un camion e portarli via. Lo facevano i nazisti. Volenti o nolenti dobbiamo abituarci a convivere con persone che arrivano da paesi di guerra, di persecuzione. Questo, come quello di Marco, sono singoli episodi, che come tali vanno trattati. Il rischio è di una deriva di razzismo che comprometta il cammino intrapreso».