Minigonne e contestazione nel tour che ricorda il ’68 

Fra via Verdi e piazza Duomo. Villa e Motta hanno proposto un viaggio nei luoghi di allora fra anedotti e ricordi. E oggi nell’aula Kessler un seminario sul progetto scientifico di Sociologia


Paolo Piffer


Trento. Mica c’era solo la Dc del doroteo Flaminio Piccoli a sparare ad alzo zero contro gli studenti di Sociologia in quella fine degli anni Sessanta densi di contestazione. Oltre ad una parte della popolazione del capoluogo che a un certo punto, dopo il “contro quaresimale” di Paolo Sorbi in Duomo, assediò la facoltà di via Verdi. Anche i parroci delle periferie ci misero del loro intimando dal pulpito ai fedeli a non mandare i figli a studiare alle superiori a Trento. Tantomeno al classico “Prati” che nelle lotte studentesche venne coinvolto. E Sociologia divenne “sozzologia”. Eppure quell’università l’aveva voluta Bruno Kessler, democristiano di “lunghe” vedute che con gli studenti andava ad incazzarsi e discutere alla Cantinota e che aveva capito che per tirare fuori questa terra dal sottosviluppo ci voleva anche quello, un ateneo che intercettasse le idee, le teorie e le prassi più avanzate.

Aneddoti, parecchi, di un tardo pomeriggio passato in giro per la città - tra via Verdi, piazza Duomo e via Belenzani - con Marta Villa, antropologa culturale e Adriano Motta, che sul movimento e i luoghi della città frequentati dagli studenti ci ha scritto una tesi. Progetto scientifico (“Io non c'ero o se c'ero non dormivo. Trento allo specchio: memorie, immagini e narrazioni di luoghi") dell’associazione Sintesi in collaborazione col dipartimento di Sociologia dell’università che oggi, a partire dalle 15 nell’aula Kessler di via Verdi, prevede un ampio pomeriggio seminariale. Pochi i partecipanti alla passeggiata, poco più di una decina, qualche ex studente perlopiù, ma d’altronde quelli di oggi, è stato detto, non conoscono un granché del ’68, ne hanno una visione quasi mitica, contrassegnata da un alone, c’è un “buco”, per quanto magari vorrebbero saperne di più. Il che chiama anche in causa, vien da pensare, forse, quelli che all’epoca la contestazione la fecero e poi, in diversi, divennero classe dirigente.

La memoria d’altronde è una brutta “bestia”, la sua trasmissione pure. E a volte passa per circoli ristretti. Certo che il segretario dell’università di allora, Tarcisio Andreolli, Dc doc sponda Kessler, futuro assessore, in quanto a tattica non scherzava. Quando il questore gli telefonò dicendo che voleva sgomberare lo studentato di villa Tambosi occupato dalla Comune “Rosa Luxemburg” e non sentendo il poliziotto ragione, non fece passare un attimo per telefonare in collina e avvisare i ragazzi di andar via, che se no veniva fuori un casino. Cascando poi “dal pero” quando il questore gli riferì di non aver trovato nessuno una volta fatta irruzione. Altri tempi. Pur nello scontro, che non si scherzava di certo, la cultura politica era tutt’altra cosa rispetto alle miserie odierne. Aneddoti inediti. Come quando Paolo Sorbi, che evidentemente fece il “pieno di contestazione” allora prima di passare ad altre sponde, dallo studentato che si trovava a quello che oggi è il civico 79 di via Verdi, vicino al Duomo, il 4 novembre urlò dalla finestra “abbasso i cappellani militari” ad un picchetto che, di buon mattino, faceva le prove in attesa degli ufficiali in uscita dalla santa messa. Creando scompiglio. C’era impegno, ma anche altro, in quella città.

Il politologo Giorgio Galli, che per un periodo insegnò in via Verdi, oggi ultranovantenne, celiando riassume così: «C’era una massa di ragazze in minigonna e stivaloni inviata certo dal demonio per sconvolgere la cattolica Trento». Il ’68 è stato anche questo.













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