«Meno lavoro e soldi, ma non si sta così male»
I contratti di solidarietà raccontanti da due dipendenti che li stanno vivendo: «Lo stipendio si abbassa un po’ ma così siamo riusciti ad evitare i licenziamenti»
TRENTO. «Lavorare meno per lavorare tutti», il vecchio slogan di sinistra prende sempre più piede in questi tempi di crisi. E se lo ha usato Jospin quando varò la legge sulle 35 ore settimanali, adesso ritorna anche sulla bocca di Grillo. Ma i veri sostenitori sono i lavoratori, quelli che pagano in prima persona il calo dei consumi e quindi delle commesse. E che in alcuni casi sono riusciti a mantenere inalterata la pianta organica rinunciando tutti a un po’ di ore di lavoro. Ovvero aderendo al «contratto di solidarietà» che tanto piace adesso anche a Confindustria, all’assessore Olivi e alla Cgil.
Ed ecco due storie di chi vive questa soluzione occupazionale che pare essere la panacea di tutti i mali. La prima arriva da Arco e ha raccontarla è Giuseppe Cancellaro che da anni lavora nel magazzino alla Zf Marine di Arco. «Siamo al secondo anno di contratto di solidarietà - spiega - e la prossima scadenza è l’aprile 2013. Intanto andiamo avanti e speriamo che riparta il mercato».
Era il 2010 quando la multinazionale informò di voler trasferire tutta la lavorazione - si progettano e si fanno invertitori per imbarcazioni - a Padova. Parte la trattativa è si arriva ad un piano con 50 dimissioni volontarie che portano a 100 i dipendenti. Ma non basta. L’azienda vuole arrivare a 60 assunti. La trattativa è lunga e alla fine si arriva ai contratti di solidarietà «che salvano, almeno per ora, i 40 posti di lavoro» spiega Cancellaro. In cambio i dipendenti lavorano meno: chi il 10 per cento in meno chi, come lui, il 50. «Lavoro una settimana sì e una settimana no - spiega - a livello economico ne risento ma non troppo perché il taglio effettivo dello stipendio grazie all’intervento di Inps e Governo, è circa del 10 per cento». Intanto si tira avanti e si spera che tornino commesse importanti. «Noi facciamo tanta sperimentazione - racconta - e dicono che i nostri prodotti siano ottimi». Quindi dita incrociate perché se stare a casa a settimane alterne ha il suo bello («c’è più tempo per la famiglia» dice Cancellaro) dall’altra il ritorno al lavoro a tempo pieno è il vero fine: «vorrebbe anche dire - spiega - che la crisi è finita».
Sono al terzo anno di uso del contratto di solidarietà alla Aldebra di Trento, una ditta di informatica che, in tutto il nord est ha 170 dipendenti. Fra questi c’è Marcello Savino, 54 anni che dal 2009 lavora il 20 per cento in meno. «Quando l’azienda ha iniziato a parlare della crisi - spiega - si è subito trovato l’accordo sul ricorso al contratto di solidarietà che da una parte permette al lavoratore di avere delle certezze e alla ditta di non perdere professionalità. A settembre si tornerà a discutere per il rinnovo: speriamo in bene». Il giudizio di Savino su questa soluzione è positivo: «A livello economico, personalmente, non si sono accorto della riduzione di stipendio e a 54 anni lavorare con un po’ più di calma (tipo arrivare un’ora dopo o andare via un po’ prima per arrivare a quel meno 20% di impegno), fa piacere. Non solo. Appare un buon modo per affrontare la crisi nella speranza che poi tutto torni ad andare per il verso giusto e chi magari si è stufato del lavoro che fa o che ha voglia di cambiare vita, ha la tranquillità e il tempo per guardarsi attorno».
I lavoratori, dunque, promuovono i contratti di solidarietà: lavorare meno per lavorare tutti.
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