Maxitruffa, gabbata una società trentina
Scoperta a Milano un’organizzazione che vendeva abbonamenti a false riviste delle forze dell’ordine: 300 le vittime
TRENTO. Nella rete dei truffatori era cascata anche una società trentina, convinta di fare del bene sottoscrivendo abbonamenti a riviste dai nomi al di sopra di ogni sospetto. “Il giornale del carabiniere”, “Pubblica sicurezza”, “Polizia e sicurezza”. La ditta, che ha sede in un paese della provincia, in due anni ha speso in abbonamenti una cosa come ottantamila euro: gli amministratori erano convinti che con i fondi raccolti venissero eseguiti lavori nelle caserme e che comunque una parte di quei soldi andasse a migliorare le condizioni di vita delle forze dell’ordine. Così avevano spiegato loro gli emissari dell’organizzazione che era ramificata in circa venti società, collegate tra loro, che producevano le riviste fasulle e avevano messo in piedi persino dei call-center per piazzare su scala industriale i loro clamorosi “fake” agli acquirenti in buona fede. La truffa avrebbe fruttato, secondo gli inquirenti milanesi che ieri hanno smascherato l’organizzazione, almeno un milione di euro. L’operazione, che ha visto al lavoro polizia, carabinieri, guardia di finanza e polizia locale del capoluogo lombardo, è sfociata in 42 perquisizioni e 27 persone indagate per associazione a delinquere finalizzata alla truffa e all’estorsione. Già, perché i truffatori in principio facevano leva sul’autorevolezza delle forze dell’ordine per vendere gli abbonamenti, insistendo sui problemi che gli agenti devono affrontare ogni giorno a causa della riduzione dei budget in seguito alla spending review del governo. Ma quando i cittadini stentavano a decidersi, i delinquenti passavano alle maniere forti, presentandosi come funzionari di polizia o addirittura magistrati per spaventare le vittime, minacciando ritorsioni indirette, come controlli da parte di Equitalia o dell’Agenzia delle entrate. A quel punto le vittime si ammansivano e si rassegnavano a sottoscrivere l’abbonamento. Ci sono caduti in tanti, dall’anziano convinto di sostenere le forze dell’ordine alla società trentina, che in perfetta buonafede era persuasa di aver compiuto un gesto di solidarietà verso i tutori dell’ordine.
L’indagine è nata quattro anni fa da un fatto casuale: alla stazione di Porta Romana-Porta Vittoria era stata perquisita dai carabinieri l’auto di un pregiudicato. All’interno era stato trovato un dettagliato elenco con circa 300 nominativi, tra privati cittadini piccole istituzioni di provincia: ad ogni nome era abbinata una nota “carabinieri” o “polizia”. In seguito è emerso che la Guardia di finanza e la polizia e stava già indagando sulla maxitruffa e così l’inchiesta è stata unificata in un solo fascicolo. I cervelli della gang erano a Milano. Secondo gli inquirenti sarebbe una ristretta cerchia di persone, cinque o sei, tra cui un commercialista con precedenti specifici e altre persone note alle forze dell’ordine. i “capi” avevano reclutato attraverso i loro call-center delinquenti professionisti, tra i quali persino delle persone che si trovavano agli arresti domiciliari e godevano di un permesso di lavoro, che permetteva loro di muoversi con libertà e compiere nuovi reati.