Manovra, guerra aperta con Roma

Il governo si vuole tenere parte delle tasse, ma Trento scatena gli avvocati


Robert Tosin


TRENTO. Giù le mani dalle nostre tasse, dai consiglieri e dalle loro indennità. Trento dichiara guerra aperta al governo Berlusconi, impugnando davanti alla Corte costituzionale una bella fetta di manovra finanziaria varata per sanare la critica situazione economica italiana. La giunta provinciale ha inviato un pacco così di carte bollate e ha "armato" una squadra di avvocati. Vero è che negli ultimi anni la Corte costituzionale ha avuto un sacco da fare per dirimere le questioni legate al rapporto tra Roma e Trento, in un verso e nell'altro.

Dopo l'accordo di Milano di fine 2009 i motivi di contenzioso sono aumentati ancora di più. Questa volta sul piatto ci sono non tanto questioni di principio, ma anche di concreta rivendicazione. Soldi, detto in parole povere. E per evitare di trovarsi spennati, Dellai ha pensato bene di mettere le mani avanti, vergare nero su bianco e affidare agli avvocati la tutela dello Statuto trentino davanti alla Corte costituzionale.

L'oggetto del contendere è la manovra ultima di Berlusconi, quella lacrime e sangue che è andata ben poco per il sottile nel tagliare a destra e a manca. Inevitabile quindi che leggi nazionali e Statuto di autonomia venissero in conflitto in alcuni punti. Il primo argomento preso in considerazione riguarda l'aumento delle tasse sui tabacchi, le accise varie e i tributi aggiunti sui giochi d'azzardo. Su questo aspetto la manovra è chiara: tutto quello che si raccoglie in più finirà prima di tutto a tappare i buchi di bilancio (in prospettiva nei prossimi cinque anni) e poi finirà in un fondo che servirà ad abbassare le tasse a famiglie e aziende.

Dellai dice di no, sfoglia lo Statuto e punta il dito sull'articolo 75 del Titolo Sesto. Lì c'è scritto espressamente che i tributi raccolti sul territorio trentino, tra cui accise e imposte sui tabacchi, restano qui e, in ogni caso, la legge dei nove decimi è sacrosanta e inviolabile. Quindi il decreto collide platealmente con quest'ultimo aspetto che, nel suo piccolo, è legge. Non solo. Lo Statuto prevede anche espressamente come la Provincia debba partecipare al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà e la strada segnata non è questa.

Lo Stato ha fatto poi i conti anche su nuove entrate che dovrebbero materializzarsi in un accresciuto intervento di lotta all'evasione fiscale. Anche in questo caso il governo, nel tirare le somme, ha stabilito che le maggiori entrate derivanti da questo sforzo dovessero finire nel pozzo senza fondo del buco di bilancio. Anche qui Dellai scuote il capo e dice: queste non sono nuove imposte o tasse speciali. Si tratta semplicemente di un più rigoroso accertamento di quelle già esistenti. Quindi anche in questo caso per Trento, il decreto legge non sta in piedi. Le tasse restano qui.

La manovra di Berlusconi, come si ricorderà, mette il dito anche nei costi della politica e impone un taglio dei consiglieri regionali e della loro indennità. Su questo aspetto, per la verità, a Roma si sono accorti di non poter imporre la norma ai territori a Statuto speciale dove il numero delle assemblee e le relative indennità sono regolati da leggi regionali o provinciali che non possono essere variate se non andando a toccare lo Statuto (e qui c'è tutta una procedura che coinvolge il parlamento per una modifica non facile e dall'iter lungo).

Su questo aspetto si era già pronunciata la Corte costituzionale. Ma la Provincia è preoccupata piuttosto da un aspetto che in manovra viene subito dopo la norma dei tagli e riguarda un meccanismo premiale per quelle amministrazioni virtuose. Praticamente non impone il taglio dei consiglieri, ma premia solo chi lo fa. Insomma, anche qui secondo piazza Dante, Roma avrebbe toppato addirittura due volte imponendo disposizioni in contrasto con lo Statuto e attuando un sistema premiale senza avere il potere di farlo in un territorio a legge speciale. Lo Statuto non è ancora al sicuro e Dellai è intenzionato a difenderlo con i denti. L'ennesimo ricorso alla Corte costituzionale è partito.













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