Leonesi e lo strano destino "bifronte"
È sempre stato un uomo di sottogoverno. Gli è capitato anche di essere soltanto una notizia fra le altre nel giorno in cui c’era Grisenti che prendeva la scena: condannato a 4 mesi per una turbativa d’asta mentre l’ex super-assessore riceveva uno schiaffo lungo un anno e mezzo. Eppure Dino Leonesi è un personaggio che merita un primo piano. Un uomo che ha preso tra le mani tante opere e le ha modellate con lo scalpellino dei “buoni rapporti”. Leonesi è un funzionario che è cresciuto fino ad avere il trattamento economico di un dirigente generale della Provincia (pur senza averne lo status) e che era il perfetto telepass dell’autostrada Trento-Vaticano.
Dino Leonesi, nato a Lomaso nel 1943, è anche lui un “bifronte”. In Provincia le malelingue lo avevano ribattezzato “il galoppa-galoppa”, quello che è sempre di corsa e provvede agli uffici di questo o quel presidente o assessore. Ma quando lo avevano di fronte - figurarsi - non che s’inginocchiassero, ma certo il sorriso di circostanza glielo aprivano come un sipario. Tra i suoi anziani - prima quelli della Civica Casa di riposo, di cui è stato lungamente presidente, e poi quelli dell’Istituto per sordi beato de Tschiderer - era ed è tutt’ora una vera star, un’autorità, un uomo dalle mille risorse. Ne va da sé che per quello che gli riusciva da un lato, dall’altro lato doveva pagare pedaggio. Ma lui ha sempre guardato tutti, anche in Provincia, con quella consapevolezza di chi sa di aver tante cartucce. E se le è sempre giocate bene, anzi benissimo in Vaticano. Per i trentini - tutti, dal principe al povero - lui era una sorta di eminenza, il “nunzio apostolico” della Provincia: a San Pietro, quando arrivava, persino le Guardie Svizzere si mettevano sull’attenti. E i trentini al seguito restavano impressionati e, tra gli oooh di stupore, gli erano grati, perché il legno delle valli finivà laggiù a far da palco per il Papa (al Giubileo del 2000, nientemeno) e poi c’era il presepe trentino alla mostra in Sala Nervi e poi perché il presepe di Tesero (associazione della quale Leonesi è l'uomo immagine) andrà quest’anno, l’anno della condanna in appello, a Betlemme. Insomma Leonesi è uno di quelli che da del tu al cardinal Bertone, è grande amico del cardinal Re (che è di Borno, in Valcamonica), un grande tessitore di alleanze che hanno fatto risplendere anche le montagne trentine. Proprio come è capitato per la ristrutturazione del Rifugio ai Caduti dell’Adamello, ritornato nuovo grazie al lavoro congiunto fra Trento e Brescia, dove lui, Leonesi, era la congiunzione.
Leonesi è cresciuto nella sinistra democristiana, quella che all’epoca - anni settanta - era dominata da Bruno Kessler. Negli uffici della Provincia ci è entrato grazie a Tarcisio Grandi, vicino al quale è rimasto per anni, prima di avvicinarsi a Carlo Andreotti. Nel frattempo era cresciuto fino al livello di direttore di divisione grazie a una legge costruita guardando le sue misure. E poi fu dirigente dell’istruzione, rimanendo un gradino sotto il dirigente generale Chiasera che invece non lo hai mai tenuto sotto le sue ali protettrici. Leonesi doveva difendersi da solo, ma ci riusciva benissimo, pur dividendosi in quattro e forse anche in otto mentre seguiva lavori e opere dell’Istituto sordi de Tschiderer, o mentre andava a dare un’occhiata a cantieri dove la Provincia partecipava insieme alla Curia. Quindi è arrivato un progetto speciale, costruito ad hoc dallo stesso Dellai, per ritagliargli lo spazio necessario a lavorare di diplomazia vatican-trentina senza avere eccessive responsabilità dirette: l’incarico era “all’attuazione del programma”, uno di quei progetti fumosi dove ci puoi infilare il sacro e il profano. Leonesi lo intese come doveva essere inteso: lavorando sodo sul fronte dei rapporti e curando sempre le opere dell’Istituto de Tschiderer. Fino a quando gli è stato contestato dai pm di aver consegnato all’imprenditore Fabrizio Collini la bozza riservata del progetto tecnico per realizzare la nuova struttura per ospiti dell’Istituto de Tschiderer. Il tribunale l’ha assolto, la corte l’ha condannato. Due verità bifronte.
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