Le autonomie del Nord in guerra con Monti
Vertice di Dellai coi presidenti di Bolzano, Friuli e Valle d’Aosta Al governo un documento per chiedere il rispetto della Costituzione
BORGHETTO. Questa volta l’attacco è frontale e senza termini di cortesia. Tra i vigneti della tenuta San Leonardo, nella villa dei conti Guerrieri Gonzaga, le autonomie speciali del Nord Italia hanno sottoscritto una mozione comune che verrà consegnata al presidente del consiglio, Mario Monti. «Noi siamo l’Italia che funziona - ha detto Lorenzo Dellai al tavolo con i colleghi - e rivendichiamo la nostra esperienza positiva. Non siamo qui a difendere il nostro orticello, non siamo una casta, ma la tutela delle autonomie è nell’interesse di tutto il Paese. Il rischio vero è che i colpi di maglio che si stanno schiantando sulle regioni speciali finiranno per annientare tutte le autonomie. Il governo dovrebbe allearsi con i poteri locali, soprattutto con quelli che funzionano. Siamo invece di fronte a una fortissima svolta centralista».
Il presidente ha parlato di metodi punitivi, di imposizioni inaccettabili, di ministri che non sanno di cosa discutono, di governo che non rispetta i patti. Parole dure, confermate dai colleghi presidenti. Primo fra tutti Luis Durnwalder, che ha chiesto l’intervento di Vienna. «Per noi la quietanza liberatoria c’è stata. E se quel documento firmato dall’Italia e dall’Austria davanti all’Onu non viene rispettato, come sta succedendo, Vienna ha il dovere di intervenire. Certo, non andiamo a piangere per un milione in più o in meno, ma sul rispetto dei trattati e della Costituzione non si può transigere. E’ evidente che lo Stato non vuole rispettare l’autonomia, ma sappia che noi non abbiamo rubato nulla. L’unica cosa che chiediamo è il rispetto della Costituzione».
Il documento che verrà messo a punto e inviato a Monti a strettissimo giro di posta si focalizza su tre aspetti. Il primo riguarda il comparto sanitario. «E’ una norma assurda - spiega Dellai - perché riduce le spese sanitarie quando noi oggi non spendiamo un centesimo dello Stato. Sono soldi nostri. Cosa dovremmo ridurre?». Il secondo aspetto riguarda la modalità di conteggio dei denari che lo Stato chiede: si deve tenere conto, reciterà il documento, di quanto le autonomie hanno già versato con gli accordi finanziari che nessun’altra regione ha fatto. «Invece noi dovremmo pagare due volte» è il commento contrariato. Infine il terzo punto, quello urgentissimo, prevede di apporre in calce alla norma sulla spending review la “clausola di salvaguardia”, a tutela degli statuti vigenti. «Su questo fronte servirà l’appoggio dei nostri parlamentari e dei loro emendamenti».
A corollario di queste esplicite considerazioni - giacché non si tratta di richieste - vi è un punto fondamentale: l’incontro urgentissimo con Monti per dirimere la questione. «I tavoli bilaterali sono previsti dalla legge, ma il governo non li ha mai avviati. E’ ora di farlo e subito per definire il quadro. Noi non ci tiriamo indietro, lo Stato ci dica quanti soldi vuole ma non come e dove. Noi una proposta l’abbiamo fatta: siamo disposti ad accollarci tutte le spese sul nostro territorio».
Determinato anche Il presidente del Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo: «L’attacco alle autonomie virtuose è diventato ormai un divertimento. Non siamo dei privilegiati, ma facciamo sì che l’Italia funzioni. Finora da Monti abbiamo avuto solo atteggiamenti di chiusura, quando invece dovrebbe rendersi conto che qui non siamo spendaccioni e amministriamo bene». «Siamo gli unici - gli fa eco il presidente della Valle d’Aosta, Augusto Rollandin - ad aver applicato la legge sul federalismo, la nostra sanità è d’eccellenza e ci siamo sempre resi disponibili ad affrontare i problemi dell’Italia. Ma la Costituzione va rispettata».
La situazione è diventata insostenibile, e lo dicono tutti i presidenti. «Non possiamo - spiega per tutti Durnwalder - governare con i ricorsi alla Corte costituzionale. Dobbiamo avere la certezza di quali risorse abbiamo e con quali bilanci possiamo governare. Abbiamo già rinunciato a 500 milioni all’anno con l’accordo di Milano e siamo pronti a rinunciare ad altro, ma non possiamo tollerare questo trattamento ingiusto».
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