La signora della seta lascia il negozio a 93 anni compiuti

Palmira Maschio è titolare di Tessilmoda in via Cavour. Una carriera all’insegna dell’eleganza e della cortesia


di Giorgio Dal Bosco


TRENTO. “Addio stoffe eleganti”: vien voglia di parafrasare, così alla buona, Alessandro Manzoni nel dare notizia che Palmira Maschio, 93 anni e 5 mesi, chiude la sua bottega “Tessilmoda” di via Cavour. Non sarà “domani”, ma “dopodomani”, cioè prima dell’inverno. Le occorre soltanto il tempo per organizzare la svendita totale delle sue stoffe e dei vestiti qui. Stop. Crisi delle vendite? Anche. Stanca? Principalmente. Stanca di cosa? Stanca di vendere, personalmente da 60 anni, prima soltanto stoffe e poi anche vestiti da donna e, un tempo, “spezzati” (pantaloni e giacca) da uomo.

É bello ascoltare questa “giovane anziana” dalla lucidità e memoria portentose, dal tratto, qui e là, un pochino anche aristocratico, vedova da 43 anni di una pasta d’uomo, il suo Mario Lorenzi, trentino. Lei, invece, è veneta, nata in un paesino del Trevigiano, venuta a Trento nel 1947 dapprima a fare la maestra elementare e poi, complici gli accordi con un corregionale che teneva bottega all’ingrosso in città, la commerciante di stoffe. Non aveva punto bisogno di soldi perché lei è di una famiglia benestante: i Maschio, produttori di distillati molto famosi. Non ha avuto figli e se ne è sempre dispiaciuta. In compenso ha avuto sei tra fratelli e sorelle di cui Alina, per la cronaca, è la madre dell’ex ministro Maurizio Sacconi che qualche anno fa è venuto a farle visita in negozio con la scorta. E sempre per la cronaca, stavolta squisitamente cittadina, dopo aver avuto il punto vendita in via Diaz, Palmira e Mario, che nel frattempo aveva abbandonato la rappresentanza della birra Pilsen per il Trentino Alto Adige, negli anni Cinquanta sono passati per qualche tempo in via Santa Croce. Di qui con il maggio del 1960 in via Pozzo. Ed è qui che Palmira si è fatta un nome. É interessante ascoltare la sua storia perché se ne guarda bene dal fare il film della moda da quei tempi fino ai giorni nostri. Fa invece un film umano, suo e della città, con protagonisti, figuri, figure e figurine, in mezzo ad autentiche tragedie come è stata l’alluvione che le ha portato via con la corrente melmosa intrisa di petrolio una montagna di preziose sete e di capi di abbigliamento e, quattro anni dopo, anche il suo Mario “uomo d’oro” , un uomo che, vista la sciagura del negozio (l’acqua arrivava quasi al soffitto), si sentì male e pochi anni dopo, a 67 anni, morì di infarto anche se tutto era stato rimesso in ordine. Naturalmente l’amarissima storia dell’alluvione (novembre 1966) che ci racconta è fitta di date, orari, situazioni, disperazioni, voglia di ricominciare. Lavò quello che era possibile lavare, svenduto poi a prezzi simbolici. Riaprì nel maggio dell’anno successivo e, morto di infarto suo marito, volle estinguere globalmente il mutuo concesso dalla Regione agli alluvionati. Non voleva avere assolutamente debiti. Avrebbe voluto comperarne i muri del negozio – non le mancavano certamente i soldi – ma con mille artifizi i titolari hanno preferito che gli acquirenti, chissà perché, fossero altri. Lei ci rimase male. C’era anche chi – Palmira, però, non fa nomi – se ne stava in auto tutto il giorno davanti al negozio per controllare se gli affari le andavano bene o male. Non era un finanziere in borghese, ma chi, in caso positivo, avrebbe voluto avvantaggiarsene. A cinquanta anni ha fatto la patente di guida e dopo 39 anni di chilometri – garantisce con orgoglio – non ha mai fatto neanche un piccolo incidente. Non ha più rinnovato la patente due anni fa perché ha il senso della misura.

E nel suo “film” passano tanti personaggi che gravitavano sulla via Pozzo: anche due signore della Trento bene, Lucia Vinante e la moglie di Giancarlo Innocenzi, titolari di un negozio di biancheria intima di altisso livello. Date, nomi, genere merceologico, avvicendamenti, non le sfugge niente. Si ricorda anche chi abitava nella casa di fronte come il dottor Marzatico e in quella dove teneva negozio con relativi aneddoti legati all’amministrazione dell’immobile. Dalle figurine ai personaggi veri e propri, cioè a quel Mario De Boni, fioraio anche lui veneto e anche lui sbarcato a Trento, che, volendo allestire il negozio adiacente al suo quel giorno stesso, fu bloccato per mancanza di energia elettrica. «Si attacchi al mio contatore», le offrì immediatamente la signora. E Mario, da quel giorno, ad ogni anniversario di quel gesto di solidarietà – il giorno di Sant’Anna – ha portato a Palmira una rosa. Lì in via Pozzo, da cui appunto è stata sfrattata, è rimasta fino al 2009. L’occasione era buona per liquidare tutto e andare in una meritata pensione. Macché. E’ andata in via Cavour ricominciando da capo.

Lavora tutto il giorno dietro il bancone, sempre elegantemente vestita, inforca gli occhiali soltanto qua e là, saluta le clienti rispettosamente ma non cerimoniosamente, accarezzando le sue sete come fossero guance di un bambino. Sa il fatto suo, ha capito di essere arrivata al capolinea professionale. C’è da scommettere che se non ci fosse la crisi la signora Palmira non sarebbe così convinta, come lo è ora, di chiudere. A parte qualche anno di insegnamento a scuola, nella sua vita ci sono state soltanto la stoffa, la seta, suo marito Mario e la famiglia d’origine. Adesso si riposerà. Tanti auguri.













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