La sanità costa, meglio assicurarsi
La Provincia stringe i tempi per introdurre un fondo integrativo per i lavoratori
TRENTO. Se una pensione integrativa, visti i tempi grami, è oggi un'esigenza fondamentale - per chi può permettersela - in previsione di un futuro molto incerto, lo stesso valore lo sta assumendo il fondo sanitario integrativo, cioè quella "assicurazione" che garantisce le spese sanitarie, posto che ormai anche il servizio pubblico deve sempre più ridurre la sua spesa nel settore.
Anche il Trentino si sta muovendo su questo fronte e mercoledì prossimo si terrà un vertice importante fra l'assessore Ugo Rossi, i sindacati e gli imprenditori, chiamati a concretizzare un confronto partito grosso modo l'estate scorsa. La Provincia sta spingendo molto su un fondo di copertura soprattutto sul versante della non autosufficienza. Le rette delle Rsa stanno aumentando ed è presumibile che i costi saranno sempre più alti anche per il continuo invecchiamento della popolazione. E l'ente pubblico è arrivato ad un punto in cui difficilmente può reggere ulteriori costi se non rivalendosi sui fruitori. I quali, a loro volta, non sempre possono contare su disponibilità finanziarie adeguate. Ecco, quindi, che per l'ente pubblico sarebbe una manna rivolgersi alle assicurazioni, anziché alle famiglie, per pagare le rette rincarate. Ma l'obiettivo del fondo non può essere soltanto questo.
Va fatto notare che a livello nazionale comincia a diffondersi rapidamente questa nuova esigenza di un fondo sanitario integrativo. Si tratta però quasi sempre di accordi contrattuali che vengono siglati tra azienda e rappresentanze dei lavoratori. Un patto interno, insomma, che dirotta risorse della busta paga su una "assicurazione" gestita esternamente. Le voci coperte possono essere decise di volta in volta, a seconda delle maggiori necessità: possono riguardare il rimborso dei costi di visite mediche specialistiche piuttosto che di determinate operazioni chirurgiche, il rimborso degli occhiali piuttosto che le cure termali. Alcune categorie professionali già godono di casse di previdenza di questo tipo, ma la maggior parte dei lavoratori devono fare affidamento sul servizio sanitario pubblico e sulle proprie disponibilità. Anche i contratti nazionali di categoria si stanno orientando sull'introduzione di questa "novità".
Il Trentino sta studiando un modello proprio, fatto su misura per le esigenze locali. Uno dei problemi messi sotto la lente d'osservazione è il fatto che la sanità pubblica trentina ha standard diversi da quella delle altre regioni, per cui molto spesso i fondi versati diventando essenzialmente risorse di solidarietà nei confronti dei colleghi italiani ed impiegate per la minima parte in Trentino. In questo modo l'appetibilità è molto scarsa. Diverso sarebbe il discorso se l'integrazione fosse più mirata sulla realtà locale e sulle esigenze reali dei lavoratori che possono contare su una sanità pubblica mediamente di buon livello. Il problema vero sarà trovare il sistema per sganciarsi dagli accordi nazionali: il lavoratore trentino deve rispondere al contratto nazionale o a quelli locali nella devoluzione del premio assicurativo? La questione non è oziosa, anche perché è fuori discussione pagarne due.
La trattativa in Trentino è già abbastanza avviata, anche se molti aspetti sono ancora da chiarire. E mercoledì si dovrebbe fare un buon passo in avanti in questa direzione, perché non è possibile arrivare tardi con l'introduzione di questo nuovo strumento. Gli imprenditori sono fondamentalmente d'accordo (a loro non cambia nulla se una voce della busta paga viene dirottata altrove), mentre le parti sociali sono un po' più attente. Il problema sotteso è quello del controllo dei fondi che non possono diventare una risorsa a disposizione del pubblico che così può disinvestire su altri fronti usando quei soldi in aggiunta al proprio bilancio. Piuttosto ci si attende un compito importante da parte del pubblico per calmierare i premi delle diverse categorie che hanno possibilità diverse le une dalle altre.