«La protonterapia funzionerà Anzi, non ci sarà posto per tutti»

Il primario di oncologia Galligioni ritiene che i 750 pazienti l’anno dovranno essere selezionati con attenzione per la grande richiesta del trattamento. «Ma non dovremo fare sbagli»


di Luca Marognoli


TRENTO. Il centro di protonterapia che diventerà operativo a partire da gennaio non avrà difficoltà a trovare i 750 pazienti da curare ogni anno. Lo afferma il dottor Enzo Galligioni, primario di oncologia del Santa Chiara, secondo il quale bisognerà invece «gestire un eccesso di richiesta».

Dottor Galligioni, quali tipi di tumori si curano con la protonterapia?

É una forma leggermente diversa di radioterapia. Vista la complessità del macchinario e visto che la protonterapia riesce a risparmiare di più i tessuti sani per la precisione del fascio radiante, l'indicazione è per quei tumori che, se irradiati con terapia tradizionale, avrebbero maggiori danni ai tessuti sani: generalmente piccoli, del sistema nervoso centrale e soprattutto dei bambini. Si tratta di alcuni tumori del midollo spinale, della base cranica e cerebrali, dove è importante non fare danni.

Cosa intende dire?

Tutte le terapie fanno danni: il bisturi che taglia, la chemio che danneggia anche le cellule sane e la radioterapia perché per arrivare all'interno del corpo devi irradiare le parti adiacenti al tumore. Tutto questo viene ridotto sensibilmente dall'uso dei protoni invece che dei classici fotoni, o radiazioni gamma. La differenza fondamentale è la precisione della mira.

L'intervento quindi è più delicato...

Certo, se devo irradiare il polmone e irradio anche la parte circostante poco male; se devo farlo nel cervello lei capisce che danni si possono fare se la penombra di questo fascio colpisce un nervo che controlla la mimica facciale, le corde vocali o la deglutizione...

Servirà una preparazione raffinata...

Un macchinario raffinato, l'acceleratore di protoni, e un'abilità altrettanto elevata per poterlo utilizzare. Non è semplice: è come passare da una vettura normale a una da competizione.

La protonterapia viene affidata all'Azienda sanitaria di punto in bianco, perché finora è stata gestita da un'agenzia apposita. Voi siete stati coinvolti in qualche modo nel lavoro fatto finora?

Finora poco, perché c'era poca necessità di un coinvolgimento. Ora, nel passaggio alla terapia sui malati il coinvolgimento è indispensabile, tanto è vero che negli ultimi mesi abbiamo lavorato per definire le modalità di accesso e di scelta del trattamento. Noi da sempre definiamo paziente per paziente qual è la migliore strategia terapeutica nei consulti multidisciplinari: è questa la chiave. Faccio l'esempio del tumore del polmone: pneumologo, radiologo, anatomopatologo, medico nucleare, chirurgo toracico, radioterapista e oncologo medico si ritrovano ogni settimana per decidere qual è la scelta migliore. A questi si aggiunge il medico della protonterapia. Si inizierà intervenendo sui tumori del bambino e, per gli adulti, sui tumori rari della sfera orl (otorinolaringoiatrica, ndr) e su alcuni sarcomi, che sono tumori particolarmente radioresistenti.

E in futuro?

Si potrà allargare il raggio ad altri tumori. Per quelli della prostata, i risultati con l'attuale trattamento sono adeguati, ma un domani ci si potrebbe pensare.

La protonterapia è un'opportunità come viene detto dalla Provincia?

Assolutamente sì, estremamente costosa ma lo è. L'importante è utilizzarla al meglio, dove serve.

Eseguire 750 interventi l'anno presuppone l'arrivo di pazienti dall'estero. Una struttura come quella di Trento è in grado di fare questi numeri?

É stata progettata per questi numeri, perché ha due camere di trattamento e un domani potrà consentire un'estensione di modalità di trattamento. I 750 rappresentano il punto di equilibrio dal punto di vista finanziario e dell'utilizzo delle apparecchiature e del personale che si prevede necessario per farlo funzionare. Partiremo con 40-50 pazienti, per arrivare a regime in tre anni circa.

Si riescono a reperire tutti questi pazienti?

A giudicare da quello che succede negli altri centri mondiali sì. Il problema sarà invece di limitare gli accessi ai casi che realmente ne hanno bisogno e non a quelli che ritengono sia un qualcosa di miracoloso e che fa guarire di per sé.

Busseranno alla vostra porta in molti quindi...

Ci sarà una grande richiesta nella misura in cui la struttura avrà dimostrato di funzionare bene. Per questo bisogna partire con la giusta cautela: se dovesse funzionare male ci sarebbe un impatto estremamente negativo anche per il futuro.Non vedo nessuna difficoltà nella gestione dell'Azienda sanitaria. Chiaro è che nel centro dovrà essere utilizzato il personale addetto.

C'è la concorrenza di altri centri, come Monaco?

Credo che ci sarà spazio veramente per tutti. Monaco tra l'altro è un centro privato e questo è pubblico: ci si accede attraverso il sistema sanitario nazionale. Bisognerà prima capire come vengano rimborsate le prestazioni.

É ottimista sull'inserimento nei Lea (i livelli essenziali di assistenza) che farebbe sostenere allo Stato il costo di 20 mila euro a trattamento?

Ho sentito fare questa cifra, ma 20 mila euro non sono una bestialità: ci sono trattamenti con farmaci biologici associati alla chemioterapia che costano molto di più. Certo, sono costi giustificati in termini di appropriatezza: bisogna dare il trattamento solo a chi ne ha bisogno e quando ne ha bisogno. Questo permette di raggiungere un equilibrio sostenibile. La selezione accurata del paziente è fondamentale.

Lo staff da chi è composto?

Assieme al dottor Maurizio Amichetti, il responsabile clinico, ci sono altri 5 medici e numerosi tecnici e fisici provenienti da tutto il mondo e di grande prestigio scientifico.

Sulla protonterapia ci sono molte critiche e dubbi: c'è chi teme un buco nell'acqua economicamente molto pesante.

I non ho assolutamente questi dubbi. A regime mi aspetto di dover gestire un eccesso di richiesta. I centri sono pochi ma non sufficienti per dare le risposte ai potenziali beneficiari. So già che al centro ricevono molte richieste dall'Est europeo e da altri ospedali italiani. Il progetto data 10 anni fa, ci è voluto del tempo per realizzarlo, ma la cosa più assurda ora sarebbe non utilizzarlo e non farlo bene. É un'opportunità unica.

Parliamo di una tecnologia ancora all'avanguardia?

Sicuramente sì. Queste macchine vanno costruite una alla volta e quella di Trento è la più avanzata.

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