«L’autonomia? Serve una scossa culturale E un nuovo Ulivo»

Dellai: «Il centrosinistra non dia per scontato di vincere» «Referendum, se vincono i no si rischia una restaurazione»


di Chiara Bert


TRENTO. «Dovremo mettere in sicurezza le nostre competenze con un primo pacchetto di modifiche allo Statuto, e dovremo farlo in fretta, finché al Senato i nostri voti peseranno». Ma la sfida che l’autonomia trentina ha davanti a sè, avverte Lorenzo Dellai, va ben oltre una sfida giuridica su qualche delega in più strappata a uno Stato centralista, e va oltre l’accordo finanziario con Roma.

Onorevole Dellai, qual è allora questa sfida?

La parte più importante della riforma dell’autonomia riguarda il progetto di società che vogliamo costruire, e su questo io penso sia necessario aprire una grande discussione pubblica che chiami a raccolta i migliori studiosi, ma direi anche i migliori visionari in Europa e nel mondo, per discutere di come un piccolo territorio tra i monti come il nostro possa elaborare un modello di autonomia dentro un contesto mondiale ed europeo che va in direzione opposta, dove prevalgono l’individualismo, il conformismo, le spinte verticalizzanti. Negli anni ’60 Bruno Kessler chiamò i migliori urbanisti italiani quando di urbanistica ancora non si parlava. Serve una scossa culturale e la revisione dello Statuto va presa a pretesto.

C’è chi vede nella riforma della Costituzione seri rischi per l’autonomia. Cosa risponde?

I rischi oggi non stanno solo nelle tendenze centralistiche che pure esistono e sono evidenti, ma nelle trasformazioni sociali e culturali di cui parlavo prima. A questo si aggiungono rischi più recenti, il voto recente nel Tirolo del Nord non può non preoccuparci, e così lo scontro fortissimo in atto nella Svp e la crisi del modello tra gruppi linguistici in Alto Adige. Vedo una spinta verso un nuovo Los von Trient che mi sembra tradisca una volontà di Los von Rom.

Come si risponde a questi rischi?

Lo si fa mettendo in campo un progetto ambizioso che abbia alcuni grandi obiettivi. Li riassumerei così: un’autonomia comunitaria, dei beni comuni, dove il senso di condivisione prevalga sulle disuguaglianze; un’autonomia diffusa che risponda al venir meno di un senso di identità delle nostre valli; un’autonomia partecipata e glocal, che sappia rapportarsi con l’esterno, con gli stranieri, e sappia investire su ricerca e innovazione.

Basta per crescere di più?

Soprattutto serve un’autonomia produttiva, che incrociando il ritorno alla terra - l’agricoltura, il turismo, i servizi - e gli investimenti in ricerca, sia in grado di produrre lavoro.

Il centrosinistra autonomista che oggi governa le sembra pronto a guidare questo processo?

La coalizione deve guadagnarsi la credibilità, senza dare nulla per scontato. E per farlo a mio avviso deve diventare un’infrastruttura politica.

Un «nuovo Ulivo»?

Nessun partito può farcela da solo, va lanciata una fase costituente. Ci sono i partiti, ma ci sono anche persone e realtà che non si riconoscono nei partiti che dobbiamo saper coinvolgere. I partiti sono pronti a cedere un po’ della loro sovranità? Hanno la forza di mettersi in discussione?

Nel ’96 c’era Prodi. Oggi in Trentino c’è chi parla già di nuove primarie per scegliere il leader nel 2018.

Prodi ebbe un ruolo importantissimo, è vero. Ma la leadership dell’Ulivo fu anche, almeno in un primo tempo, collettiva. E l’attualità ci dice quanto sia fragile oggi la democrazia dei leader. Osservo: da quanto tempo non ci si ritrova come coalizione? C’è da ricostruire un tessuto di rapporti che non siano solo relazioni amministrative. E poi, lungo la strada, verrà fuori anche come si affronterà il 2018.

Intanto tutti i partiti del centrosinistra sembrano interessati ai sindaci delle civiche... Perché lei è contrario all’apertura alle civiche?

Nel ’98 aprimmo in Trentino una stagione politica con una lista che si chiamava «Civica per il governo del Trentino», che poi tutti per comodità chiamarono Margherita. Per dire che la radice civica della politica non mi è affatto estranea. Ma era un progetto politico. La rincorsa di questi giorni di tutti i partiti a ingraziarsi i sindaci civici la interpreto come un segno di grande fragilità politica della coalizione. Il centrosinistra autonomista non è un perimetro da allargare ma un progetto da rigenerare. Il Trentino non è un grande Comune, è un piccolo Stato a cui serve una visione pienamente politica. Con la somma dei pur legittimi interessi dei territori non non si tiene in piedi un’autonomia.

Nell’Upt però Mellarini ha vinto il congresso sostenendo il dialogo con le civiche. E ora?

Nelle ultime due settimane si è avviato un confronto positivo con il segretario e il gruppo consiliare. Non sono tempi in cui dividersi, lo dissi già ad aprile di fronte all’emergenza politica in cui si trovava la coalizione. Confido in una ripartenza del progetto politico dell’Upt con la chiarezza necessaria, non per ragioni tattiche ma strategiche. Spero si apra una fase costituente per ridare a questo partito il ruolo e i valori che ha avuto.

I sondaggi danno il no al referendum costituzionale avanti sul sì. Qual è il suo giudizio sulla riforma?

Non è la riforma che avremmo scritto, ma la storia insegna che il naufragio delle riforme non porta mai a una riforma migliore ma a una fase di restaurazione. Pur comprendendo alcune delle ragioni del no - ci saranno tante cose da correggere e attuare con attenzion, la composizione del nuovo Senato, il nuovo regionalismo, i referendum - il sì è un sì a una scommessa di miglioramento futuro, contro il rischio di una deriva.

Il Trentino rischia?

Come trentini dovremmo avere qualche preoccupazione in meno: per la prima volta si stabilisce che per la riforma dello Statuto vale il principio dell’«intesa». Non sono indicate le procedure ma io credo che il governo faccia bene a sospendere la discussione fino al referendum. Le ipotesi uscite finora per me non sono accettabili, ma è ragionevole portare a casa il principio sancito in Costituzione. Poi discuteremo delle modalità. Se la riforma fosse affossata, l’aria che tira a livello nazionale non spingerà a riproporre i principi della tutela delle autonomia. Dobbiamo esserne consapevoli.

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