Infarto al volante, l’Inail deve pagare
Il giudice del lavoro dà ragione alla famiglia di Paolo Cobbe: malore dovuto a intenso lavoro, giusto il risarcimento
ROVERETO. Potrebbe creare un precedente importante la sentenza che il giudice del lavoro Michele Cuccaro ha emesso contro l’Inail. Il caso all’esame era il ricorso della famiglia di Paolo Cobbe, morto a 52 anni in seguito a un infarto che lo aveva sorpreso mentre era al volante del suo camion. Cobbe perse conoscenza e andò a urtare con il pesante mezzo ormai fuori controllo contro quattro auto parcheggiate a bordo strada prima di svellere la balaustrata di protezione davanti alle scuole Regina Elena, fermandosi a qualche decina di metri di distanza, a fianco della scuola. Estratto ancora vivo dall’abitacolo, spirò in ospedale qualche giorno dopo senza mai essersi ripreso. Era la fine di settembre del 2012.
Cobbe, detto “Kennedy”, era un conosciutissimo autotrasportatore di Vallarsa, titolare di ditta individuale con un’impiegata e tre operai. Lasciò la sua famiglia con un mutuo casa da onorare e due figli, di cui una all’epoca minorenne, di cui si doveva occupare la moglie Annalisa, rimasta vedova. L’Inail, alle richieste inoltrate dalla famiglia per ottenere ciò che è previsto dalla legge, rispose che la morte «non è riconducibile all’evento» e che «l’evento non dipende da causa violenta ma da malattia comune». In sostanza, l’Inail rifiutò di risarcire la famiglia non riconoscendo l’arresto cardiaco come infortunio sul lavoro, malgrado Cobbe stesse trasportando materiale stabilizzato in una ditta di scavi per scaricarlo in cantiere a Marano di Isera. Ma la vedova di Paolo Cobbe assieme ai figli, ha promosso un ricorso, sostenuta dall’avvocata trentina Maria Cristina Osele. Il giudice del lavoro Michele Cuccaro ha accolto nei giorni scorsi il ricorso condannando l’Inail al pagamento delle prestazioni di legge: alla moglie spetta infatti una rendita, equivalente al 50% di ciò che il marito avrebbe percepito nell’ipotesi di un’invalidità totale. L’Inail dovrà anche pagare le spese legali sostenute dalla vedova e dai figli. È infatti emerso che Cobbe aveva iniziato a lavorare dal mattino in un cantiere in Vallarsa, curandone l’organizzazione, aveva terminato a tempo record per poter caricare del calcestruzzo per conto della ditta di scavi ed era sotto pressione poiché doveva terminare in fretta per potersi recare a Trento nel pomeriggio, per sottoporre il camion a una riparazione. Per il giudice dunque l’infarto deve ricondursi «all’abnorme sforzo lavorativo» e va qualificato «come causa violenta» del decesso. La sentenza è esecutiva.
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