Infanticidio di Trento, Bolzoni: «In cella, un'esperienza tremenda»
Davanti al pm l'uomo ha ripercorso minuto per minuto la tragica serata del 26 giugno scorso
TRENTO. Nell'ufficio del sostituto procuratore Marco Gallina, Enzo Bolzoni Giovanni c'è rimasto quasi tre ore. Affiancato dai suoi due legali, gli avvocati Gian Piero Fia e Maurizio Pellegrini, l'uomo ha ripercorso minuto per minuto la tragica serata del 26 giugno scorso quando, nel corso di una cena nella casa di famiglia Cognola, sua figlia Francesca partorì in bagno.
Un interrogatorio che ha provato il sessantanovenne e sui cui contenuti gli avvocati, per rispetto nei confronti del dottor Gallina, hanno voluto mantenere il più stretto riserbo. Certo è, sempre secondo i legali, che Enzo ha ulteriormente definito il ruolo avuto quella sera. Un ruolo marginale, confermato anche dalle dichiarazioni dello stesso dottor Mauro e della badante polacca, di un uomo che ignorava la gravidanza della figlia e che nemmeno per un istante ha toccato o guardato nel fagottino poi preso in consegna dal medico condotto. «La sua colpa - spiega Pellegrini - può essere stata quella di aver chiesto l'aiuto del dottor Mauro, dando per scontato che il comportamento del medico si sarebbe mantenuto nella legalità». Per questo, convinti che il ruolo di Bolzoni sia stato notevolmente ridimensionato, i due legali puntano ad uno stralcio della posizione del loro assistito in vista di un possibile patteggiamento.
Intanto, sempre ieri, Enzo Bolzoni Giovannoni ha parlato degli aspetti "umani" della vicenda che ha portato in carcere la figlia Francesca con l'accusa di omicidio volontario.
Il clamore, l'esposizione mediatica e poi l'esperienza del carcere. Come ha vissuto questo incubo?
«È stata un'esperienza tremenda. La prima notte in cella ho continuato ad alzarmi per bere, il numero di pulsazioni del mio cuore era aumentato a livelli incredibili. Poi, nei giorni successivi ho avvertito dolori al petto e formicolio alle dita delle mani, ho avuto paura e ho chiesto di essere visitato da un medico in ospedale».
Rientrato l'allarme per la sua salute, come sono trascorsi gli altri giorni in carcere.
«I quei dodici giorni ho perso completamente la cognizione del tempo. Ero insultato e minacciato continuamente dagli altri detenuti e, per questo, sono rimasto sempre chiuso, rinunciando anche all'ora d'aria. Ho potuto pensare a lungo, ho ripercorso quanto accaduto quella sera».
E ora, riconquistata la libertà?
«Non è cambiato nulla. Sono uscito dal carcere da tre giorni e continuo a non chiudere occhio la notte. Sto andando avanti a tranquillanti. Il pensiero rimane fisso a quanto accaduto e la situazione di mia figlia mi inquieta».
Un travaglio iniziato solo ora?
«No, da quella sera del 26 giugno la mia vita è completamente cambiata. Quella notte sono andato a letto e non mi sono mosso. Non ho detto una parola neanche a mia moglie. Il dolore è iniziato allora».
Ha incontrato suo padre? Le piacerebbe poter rivedere Francesca?
«Ho incontrato mio padre ed è stato un momento molto toccante. È molto anziano e anche lui è provato dalla vicenda. Vorrei poterlo aiutare. Per quanto riguarda Francesca non serve rispondere. È chiaro che vorrei incontrarla e parlarle».
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