Il vescovo: «Privilegi indifendibili: restituiscano quei soldi»

Bressan: «Sorprende che solo ora i politici si dicano indignati. La legge è del 2012 e nessuno allora parlò di queste cifre: altro che trasparenza»


di Paolo Morando


TRENTO. Sono passati i tempi in cui le autorità religiose dettavano la linea a quelle civili, cioè ai politici. Buon per questi ultimi e per i loro portafogli, perché se si dovesse dar retta alla lettera a quanto sostiene l’arcivescovo Luigi Bressan davvero dovrebbero rivedere il loro atteggiamento nel ricoprire i mandati elettivi. L’indennità? Più bassa di quella attuale, afferma Bressan, perché «dobbiamo cambiare stile di vita e abituarci tutti a spendere di meno». L’indennità di fine mandato? «Non esiste che debbano riceverla». I ricchi contributi previdenziali a carico dell’ente pubblico? «Privilegi eccessivi: sono lavoratori in aspettativa che una volta terminato il mandato tornano alle loro professioni: al massimo si dovrebbe prevedere che quegli anni possano essere riscattabili e collegati alle precedenti contribuzioni». Posizioni espresse ieri anche dal vescovo di Bolzano e Bressanone Ivo Muser, benché in maniera più sfumata.

Monsignor Bressan, spuntano già consiglieri che sostengono che ci perderanno, rispetto ai loro lavori precedenti, se in futuro dovessero pagarsi da sé i contributi.

Con le remunerazioni di cui attualmente godono, non vedo come sia possibile.

Forse si dovrebbe tornare a considerare l’impegno politica come servizio alla comunità, con spirito di gratuità.

Magari. Ripenso a mio padre, che era consigliere comunale: si faceva 20 chilometri a piedi per partecipare alle riunioni, al massimo spuntava un bicchiere di vino. E penso anche a un sindaco che ho conosciuto: lo è stato per quarant’anni, senza mai ricevere nulla. E senza mai pensare di averne diritto: lo faceva nei tempi liberi che gli lasciava il lavoro, per servire la comunità in modo disinteressato.

Inizia la Quaresima e si riparla di privilegi dei politici: curioso, no?

Soprattutto alla luce del messaggio su cui papa Francesco ci invita a riflettere in questi quaranta giorni: a imitazione di Gesù, ci dice, siamo chiamati a guardare le miserie dei nostri fratelli, a toccarle, a farcene carico e ad alleviarle. È vero che la carità cristiana deve sempre essere presente, ma il papa sottolinea che non deve trattarsi solo di assistenza, bensì i vera inclusione: i poveri devono essere parte della nostra vita, dell nostre giornate. Il che è coerente con l’atteggiamento richiamato anche dalla Caritas, il “guardare negli occhi” le persone in difficoltà non solo per accompagnarle, ma per farle diventare parte della comunità in grado di dare il proprio contributo.

Insegnare a pescare invece di donare un pesce.

Proprio così. E la spoliazione, come il digiuno tipico del periodo quaresimale, non può non avere una dimensione penitenziale. Dell’elemosina che non costa nulla si deve diffidare: il digiuno consiste sì nel privarsi di qualcosa, ma a servizio degli altri, non può essere digiuno fine a se stesso. Certo, ci sono i benesseri per la salute, il digiuno come educazione all’autocontrollo, le funzioni pedagogiche. Ma lo scopo principale è quello di dare agli altri che ne hanno bisogno ciò che si risparmia.

Come conciliare questo messaggio con lo scandalo delle pensioni d’oro dei consiglieri regionali?

Dice il Vangelo che ogni operaio ha diritto alla sua mercede. Ma se iniziamo a dare agli eletti privilegi ingiustificabili agli occhi di un operaio che lavora in condizioni difficili, accresciamo quelle situazioni di povertà che sempre più spesso diventa emarginazione.

Come giudica le polemiche di questi giorni?

Non ho reagito subito perché ero assente, per esercizi spirituali e per una riunione di due giorni a Vicenza, della Caritas del Nordest. Dove tutti noi vescovi siamo stati d’accordo nel considerare grave la situazione sociale ed economica, anche nel nostro Triveneto. E qualcuno, nei corridoi, ha colto l’occasione per dirmi “certo che ne avete voi di soldi, in Trentino, per pagare tutti quei politici”.

E lei come ha risposto?

Non se sono certo stato orgoglioso. Perché non c’è proprio nulla di cui essere orgogliosi, non c’è nulla da difendere. Le esagerazioni sono esagerazioni. Punto.

Non è sorprendente che oggi a indignarsi siano coloro che hanno approvato la legge da cui discende l’attuale regime dei vitalizi e delle superliquidazioni? E che lo facciano solo dopo che le cifre sono state rese pubbliche?

Certo che è sorprendente. Quella legge è del 2012, ma di trasparenza non si può proprio parlare: nulla era emerso nel dibattito di allora circa le cifre di cui ora tutti stiamo leggendo, solo ora ce le vengono a comunicare. e trattandosi di cifre del genere, in una situazione generale lontana dall’abbondanza, fa pensare.

È d’accordo sull’ipotesi di un fondo per il lavoro da finanziare con le risorse dei vitalizi che saranno recuperate, sempre che la legge lo consenta?

Certo. Oggi c’è bisogno di rilanciare l’economia, sostenere i giovani, creare posti di lavoro.

Se invece non sarà possibile effettuare tagli retroattivi?

Viviamo in un sistema di diritto. Ma di fronte a un’ingiustizia commessa in passato, chi ne ha usufruito dovrebbe agire di conseguenza .

Rinunciando a quei soldi?

Sì, rinunciando. Di propria iniziativa.

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