Il teatro Zandonai ritrova tutta la sua magia

Splendido e affascinante come era prima della chiusura, 15 anni fa. Ma oggi è antisismico, sbarrierato e a prova di incendio



ROVERETO. La sensazione che si prova è resa benissimo dalla battuta della moglie di un consigliere comunale, entrata nello Zandonai qualche settimana fa. Affacciandosi a un palco ha chiesto: «Quant’è che è rimasto chiuso? Tredici anni? Guardando così, mi sembra ieri». E’ l’effetto che fa. In apparenza non c’è nulla di cambiato rispetto al ricordo, nei colori e negli odori, negli equilibri di vuoto e di luce. Anche se nessuno dei roveretani viventi in realtà l’ha mai visto così bello, con affreschi, stucchi e legni restituiti allo splendore originario, l’abbraccio dello Zandonai rimane quello di allora. Ed è un abbraccio inusuale: quasi lezioso nella sua opulenza di dettagli e colori, riesce ad avvolgere con una sensazione di bello che non mette soggezione. Un bello popolare, se può avere senso definirlo così. Come le collane di perle e granato della nonna.

Guardando con un occhio più attento, e guidato da chi come Paolo Piccini dei lavori di restauro conosce ogni minimo dettaglio, si scopre un altro piccolo miracolo, tutto contemporaneo. All’apparenza il teatro è esattamente quello di 15 anni fa, prima che la pioggia di stucchi sugli spettatori imponesse l’avvio del progetto di restauro. Ma in realtà sotto la storica apparenza c’è una «macchina» che è il massimo della modernità.

Costruito a fine Settecento dalle famiglie benestanti della città, il teatro subì un ampliamento significativo un secolo dopo, quando all’ingresso originario fu anteposta la parte della facciata attuale, ricavando gli spazi per il foyer al piano terra e per il bar al primo piano. Poi una serie di interventi di manutenzione più o meno ogni 30 anni, ma l’impianto e la struttura sono arrivati immutata fino a 15 anni fa. Con tutto il fascino ma anche tutti i problemi che questo comporta. Perché visto con gli occhi di oggi, da un punto di vista di sicurezza, stabilità e fruibilità «quel» teatro sarebbe stato semplicemente inutilizzabile. Nessuna sicurezza in caso di incendio nè dal punto di vista sismico, assenza di vie di fuga, assenza di servizi adeguati. Totale inaccessibilità per i disabili. Riscaldamento obsoleto e poco efficiente. Tutti problemi ai quali si è cercata una soluzione dovendo affrontare due problemi: riuscire a realizzarla in un contesto strutturale così delicato e fare anche in modo che a lavori finiti non si vedesse nulla di quella indispensabile modernità che rischiava di snaturare l’immagine del Teatro come era e doveva rimanere. Così per esempio per far salire dalla centrale (realizzata sotto la carreggiata di via Teatro) l’acqua in pressione per l’impianto di spegnimento automatico di incendi si sono create «scatole» in legno perfettamente inserite nel complesso di travature e tamponamenti originari. Tutti i materiali di rivestimento sono identici agli originali, ma completamente ignifughi. Addirittura le pareti dei corridoi sono in pannelli di calcio silicato: sembrano di compensato, battendoci sopra con le nocche, ma resistono per almeno due ore alla fiamma viva prima di prendere fuoco. Invisibile, se non salendo nel sottotetto, oltre al riscaldamento c’è un impianto di aspirazione dei fumi. E due scale lungo i muri perimetrali (una del tutto nuova, una riutilizzata dalla sua funzione di accesso ai sottotetti) garantiscono vie di fuga sicure da ogni punto del teatro in caso di incendio con la protezione di porte tagliafuoco. Non c’è nulla di vecchio, nella macchina del nuovo Zandonai (reso addirittura antisismico) ma nemmeno nulla di nuovo che alteri l’emozione del teatro settecentesco.

Gli uomini dell’ufficio tecnico e l’assessore Leone Manfredi, hanno atteso la mezzanotte di sabato e lo «zero» sul contatore di fine lavori assieme, festeggiando poi con un brindisi. Orgogliosi e felici.

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