Falsi Schweizer, respinto il ricorso
Elio Bonfanti, condannato a 4 anni e 8 mesi, si era rivolto alla Cassazione
TRENTO. Ha tentato anche la strada della Cassazione, Elio Bonfanti per ribaltare i primi due gradi di giudizio che lo avevano condannato per la vicenda dei falsi quadri attribuiti a Riccardo Schweizer. In primi grado, la procura aveva portato a giudizio Bonfanti con l’accusa di ricettazione ma il giudice l’aveva derubricata in incauto acquisto e commercio di opere d'arte false, condannandolo a una e quattro mesi. C’era stato il ricorso in appello, e qui la pena era diventata molto più pesante: quattro anni e otto mesi per i reati di ricettazione e contraffazione di opere false. Una sentenza scandalo, l’aveva definita Bonfanti e così il caso è finito davanti ai giudici della Cassazione. Per la sua difesa, il punto fondamentale è che Bonfanti non sapeva di avere in mano dei quadri falsi, avendoli ricevuti da persone fidate. Ed è stata contestata anche la «certificazione» di falso delle opere del pittore trentino. «La Corte - si legge nella sentenza, nel punto in cui ripercorre il ricorso di Bonfanti - aveva ritenuto provata la falsità delle opere affidandosi alle contradditorie dichiarazioni della moglie e della figlia del pittore, che non potevano ritenersi attendibili in quanto interessate all'esito del giudizio ed inesperte in materia. Di conseguenza, vi sarebbe incertezza sulla falsità delle opere, con l'inevitabile ricaduta di tale circostanza sulla valutazione in ordine alla sussistenza del reato e dell'elemento soggettivo del reato di ricettazione, da escludere anche sotto il profilo del dolo eventuale, avendo il ricorrente esercitato tutti i possibili controlli volti a verificare l'autenticità delle opere». Ragionamenti che non hanno convinto i giudici della suprema corte, che hanno dichiarato inammissibile il ricorso presentato. La vicenda era nata da una denuncia della figlia di Riccardo Schweizer. La donna, aveva raccontato agli inquirenti, una sera, in un tribunale, aveva visto una dozzina di quadri che portavano la firma di suo padre ma che non erano suoi. Da lì era partita l'indagine dei carabinieri del nucleo tutela del patrimonio artistico e si era arrivati alla perquisizione a casa del Bonfanti e alla ricostruzione di una serie di vendite messe in atto dall'uomo e che gli avrebbero fruttato all'incirca 68 mila euro. Ci sono dipinti olio su tela ma anche su polistirolo quasi tutti di misura 50 per 70 che sarebbero stati venduti a più persone dal Bonfanti. L'imputato ha sempre respinto tutte le accuse. Ha sempre detto di aver ricevuto le opere di Schweizer da un socio e di averle rivendut