E a Trento scoppia il caso dei rimborsi ai consiglieri comunali
Non hanno indennità, prendono gettoni alle sedute. E adesso anche rimborsi chilometrici pure ai residenti all'interno del territorio comunale
TRENTO. Se paragonati ai cospicui rimborsi che incassano i consiglieri provinciali, sono briciole. Ma anche in consiglio comunale i «contributi» per le spese di viaggio casa-lavoro esistono e spettano a chi abita a più di 4 chilometri da palazzo Thun. Un ordine del giorno a firma Paolo Serra (Pd) ora propone di stringere i cordoni della borsa. Ma la proposta ha già scatenato malumori in maggioranza: solo 10 le firme raccolte su 35 consiglieri.
Certo 24 mila all’anno - su 700 mila euro di spesa per i consiglieri comunali - è una piccolissima quota. «Ma siamo in un momento difficile di crisi economica, in cui avanzano disoccupazione, povertà e disagio - spiega il promotore della proposta, il consigliere Serra - ridurci il rimborso per le trasferte vuole essere un segnale. La cosa pubblica non è una mucca da mungere. I consiglieri per andare in consiglio, in commissione o alla conferenza dei capigruppo percepiscono giù un gettone di 120 euro (lordi), penso che possiamo fare a meno».
I consiglieri che ne hanno fatto richiesta nell’ultimo anno sono stati in tutto 18 (su 50, 8 di maggioranza e 10 di opposizione), di cui solo 2 (Francesco Porta di Ziano di Fiemme e Claudio Cia di Vigolo Vattaro) risiedono fuori Trento. L’ordine del giorno non propone di abolire il rimborso per il tragitto casa-palazzo Thun, ma di mettere un paletto più stringente: il rimborso va erogato solo a chi risiede fuori dai confini del capoluogo, e in misura più ridotta, non più un terzo ma un quinto del costo di un litro a chilometro. Per il calcolo delle distanze - si specifica - sarà inoltre preso in considerazione il percorso più breve tra la residenza e palazzo Thun.
La mozione, sottoposta all’attenzione di tutti i consiglieri (35) della maggioranza, è stata sottoscritta solo da 10, vale a dire meno di un terzo: si tratta, oltre a Serra, dei consiglieri Santini, Scalfi, Franceschini, Salvati e Pedrini del Pd, Bertuol, Aliberti e Angeli dell’Upt, Giovanna Giugni (Idv) e Paolo Zanlucchi (Udc). E questo è già un primo dato su cui riflettere. Perché ci dice come l’iter della mozione, depositata agli uffici il 26 maggio scorso, sia stato per ora tutto in salita.
All’appello mancano infatti molte firme (11 su 17) dello stesso partito del proponente, il Pd. Ad aprile, quando Serra ha annunciato di voler presentare un ordine del giorno, l’accoglienza non è stata delle più calorose. La parola d’ordine è stata: aspettiamo, andiamoci cauti.
Serra ha aspettato, poi - con la supervisione degli uffici - ha confezionato il suo ordine del giorno che ha mandato a tutti i consiglieri di maggioranza: come detto, le firme totali sono state 11 su 35 potenziali sottoscrittori.
Un freno - se vogliamo dire così - è venuto dal principale alleato della coalizione, l’Upt: i tre firmatari del resto - Aliberti, Angeli e Bertuol - possono essere ascritti agli “eretici” che qualche volta votano in difformità dalla linea del partito. Stop anche dal Patt.
Vista l’aria che tira in maggioranza sulla proposta - ha fatto notare qualcuno a Serra - c’è il rischio che in aula alla fine la mozione non passi. Con la lentezza del consiglio comunale, rischiano di passare mesi prima che venga discussa. «E comunque sarà un problema di chi vota contro», è stata la serafica risposta di Serra. Se ne riparlerà - a palazzo Thun - a settembre.