il caso

Donna di Pergine picchiata e arrestata in Spagna

Atika Chafei, trentina di origine marocchina, è stata malmenata alla frontiera: «Ora voglio giustizia, arriverò fino a Strasburgo»


di Stefano Bizzi


TRENTO. Da parte lesa a criminale. E ora è pronta ad arrivare fino alla Corte europea per i diritti dell’uomo pur di far emergere la verità sull’assurda vicenda di cui è diventata involontaria protagonista in Spagna.

Il tribunale di Ceuta ha condannato una quarantaquattrenne che vive in Trentino, a Pergine per la precisione, a due mesi di reclusione con la condizionale per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale e al pagamento delle spese processuali, oltre al risarcimento dell’agente che l’ha arrestata. Ma lei non ci sta e annuncia battaglia. A riferirlo è stato il quotidiano locale «El Faro digital» a cui Atika Chafei - originaria del Marocco, ma cittadina italiana - si è rivolta per denunciare pubblicamente i maltrattamenti da lei subiti da parte della polizia spagnola. Attivista per i diritti umani, la donna che vive in Trentino da diversi anni è stata arrestata lo scorso 13 luglio alla frontiera del Tarajal dopo una discussione con un agente che l’aveva scambiata per una «porteadora», una delle migliaia di donne marocchine che ogni giorno attraversano il confine per trasportare merci dall’enclave spagnola d’Africa alla provincia di Tetuan.

«Durante queste vacanze ho visto la morte in faccia», ha detto la donna raccontando la sua odissea ai media. In ferie con la famiglia a Castillejos, paese appena al di là della frontiera di Ceuta, era entrata in Spagna per comprare del cibo senza glutine da dare a uno dei tre figli. I problemi sono iniziati quando ha tentato di ritornare in Marocco. Presa a pedate da un agente della Polizia nazionale, ha chiesto il motivo di quel gesto. A quel punto l’uomo ha impugnato il manganello e l’ha colpita sul dorso della mano destra. Quando lei gli ha fatto presente che era cittadina italiana, lui ha tentato di prenderle i documenti. Atika Chafei si è rifiutata di consegnarglieli e ne è nato un parapiglia terminato con l’arresto della donna, poi portata via in manette. Caricata nell’auto di servizio è stata prima accompagnata in ospedale, poi trattenuta al commissariato per tutta la notte e il giorno successivo. Giudicata per direttissima è stata condannata per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. Oltre al danno la beffa, il giudice ha riconosciuto a favore del poliziotto che l’ha ammanettata un risarcimento di 150 euro per i graffi subiti ne corso dell’arresto. A nulla è invece valso il certificato medico del pronto soccorso prodotto in aula dalla donna nel quale veniva confermata la lesione alla mano destra e veniva diagnosticata una prognosi di 7 giorni.

Componente dell’Associazione Mite, Atika Chafei ha quindi presentato una denuncia formale anche al Consolato generale di Spagna a Tetuan. Nella lettera ripercorre quei momenti di follia di metà luglio. Parla di detenzione senza giustificato motivo e dice d’essere stata vittima «di aggressione fisica e psichica e di abuso della forza e dell’autorità» da parte dell’agente che l’ha arrestata. Nel documento con il quale chiede l’apertura di un’indagine esaustiva in grado di stabilire quanto accaduto, si legge inoltre: «Sono stata privata della libertà per un giorno e una notte senza che sia stata avvisata la mia famiglia come prescritto dalla legge».

Ora la donna si è ritirata in Marocco con il marito e i figli ed è pronta a ricorrere in appello. L’esperienza al valico del Tarajal però l’ha segnata e, a prescindere da quello che sarà l’esito del giudizio spagnolo, è decisa a portare avanti una battaglia per i diritti umani affinché quanto successo a lei non succeda ad altri. In particolare sarà una lotta a favore delle «porteadoras», donne che per pochi euro a viaggio subiscono maltrattamenti di ogni genere.

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