Dinosauri, il tesoro dimenticatoLe "piste" abbandonate di Rovereto

Turisti italiani e tedeschi sulle favolose piste lasciate al loro destino


Paolo Mantovan


Vent’anni fa, quando un roveretano curioso le scoprì per caso, le orme dei dinosauri diventarono subito delle star. L’allora assessore alla cultura, Tarcisio Grandi, chiese il silenzio fino a quando non fosse stata valutata la portata della scoperta. Ma a profani e ad esperti sembrava già un evento mondiale, anche perché, proprio in quei giorni, circolava insistente la voce che Steven Spielberg fosse alle prese con un film sui dinosauri.

Vent'anni dopo, in una ordinaria giornata d'agosto siamo risaliti lungo il Jurassic Park roveretano. Popolato di famiglie, curiose anche loro (come lo scopritore Luciano Chemini), e disorientate fra targhette e segnali poco comprensibili lungo i Lavini di Marco.

Arrivano dalla Germania: "Ja, Friburgo", spiega un papà con teleobiettivo, più mamma e figlia che cercano tracce, chis- sà, di fossili. Ma qui ci sono solo le orme! «Però è un posto molto suggestifo» incalza il turista. Poi un'altra famiglia. «Germania, sì. Siamo di Garmisch, cerchiamo le piste dei dinosauri». Adesso arriva un gruppetto di Trento: tre bimbi, la mamma, il papà. C'è il nonno, "giovanissimo". «Mah, siamo scesi di qui - dice - c'era scritto "orme dinosauri archeo", poi siamo arrivati fin lassù, vede lassù? E siamo dovuti ridiscendere perché non c'era un bel niente». Da lì si può ammirare tutta la Vallagarina, per la verità, ma la famigliola cerca le piste del dilophosaurus, un carnivoro alto tre metri. «Boh, ci vorrebbero segnali più chiari. Magari una piccola cartina. Lì sotto ho notato inchiodate alla roccia delle targhette, ma non capisco a cosa si riferiscono». È vero, non si capisce: c'è scritto "Rolm 86": che vorrà dire? Quindi un'altra famiglia di Padova. La mamma chiede se più in su c'è un punto di ristoro. Eh no, signora, qui ci sono solo e soltanto impronte impresse nella cresta rocciosa, che altro vuole? Sì, duecento milioni d'anni fa qui c'era una spiaggia, ma era frequentata soltanto dai dinosauri.
Che siano dinosauri anche gli amministratori roveretani? Scusateci per la banale domanda, ma davvero sorge spontanea, perché, al di fuori degli studiosi che qui ci hanno messo cuore e cervello (con il Museo Civico di Rovereto e il Museo tridentino di scienze naturali in testa) nessuno ha voluto credere a questo fantastico parco delle suggestioni. Provate a pensarci: un parco vero, con il sentiero tenuto sempre in ordine, qualche staccionata in più, qualche cartello un po' meno dettagliato dal punto di vista scientifico ma più descrittivo per un visitatore medio, qualche guida pronta a dare delle indicazioni (soprattutto alle scolaresche), un punto ristoro vero e poi, magari, una promozione di quelle coi fiocchi. Macché. Vent'anni passati invano. Solo una proposta e una discussione, approdata dieci anni fa in consiglio comunale, e poi abbandonata al suo destino. Ieri, alle tre del pomeriggio, lungo la giurassica strada bianca c'era una quindicina di famiglie (chissà alla stessa ora quante ce n'erano al Mart), quasi tutte con macchina fotografica, con i bambini che correvano (eppure sapete com'è difficile portarli in montagna). Da Como, Verona, Reggio Emilia, Bologna. «Noi? Veniamo da Vicenza. Siamo qui perché abbiamo scoperto questo sito proprio ieri, navigando su internet». Ecco. Accidenti ai roveretani e alla loro promozione turistica: vent'anni di orme e uno le scopre solo ieri, passeggiando fra siti virtuali. E la segnaletica? Vogliamo discutere di segnali? L'accesso, che parte dalla "Via degli artiglieri", è segnato con un palettino di legno dove c'è scritto semplicemente "orme". Quando si approda all'ultimo strappetto, sulla roccia, facilitato da delle brevissime staccionate, un altro cartello avvisa: "Sentiero difficoltoso", quasi qualcuno avesse deciso di farvi desistere proprio quando siete a due passi dal dilophosaurus. Eppure il sentiero non è affatto difficoltoso.
Ma il problema è che vent'anni sono passati e le "Piste dei dinosauri" attirano ancora tantissime famiglie e liberi visitatori eppure la città non ha saputo e non sa dare risposta. Ci vorrebbe un piccolo museo per il sito più formidabile d'Italia (piccolo, per carità, c'è già un Mart, basta e avanza). Ci vorrebbe soprattutto qualcuno che ci creda sul serio. E che sappia promuovere.
Se vi capita di salire fin lassù, sulla spiaggia della preistoria, un pensierino vi verrà, ne sono certo: di fronte alle maestose pietraie dei Lavini che impressionarono Dante e che sembrano un dipinto "Sturm und Drang", condotti al sito attraverso la Via degli Artiglieri "cosparsa" di marmi della memoria di guerra, di fronte alla zona monumentale di Castel Dante, ebbene, là vi domanderete perché mai gli amministratori di Rovereto non abbiano mai creduto a questa attrazione naturale.
No, incuria non c'è. Almeno ora, dopo che la Provincia, con il Servizio geologico, nella primavera scorsa ha rimesso ordine. E ce n'era assoluto bisogno! Dentro alcune orme c'erano pure dei sacchettini di rifiuti riportati dal vento o lasciati da qualche turista. Ma la vera opera è stato compiuta dal Comune di Rovereto, con il suo Servizio ripristino, che ha messo a regime le acque meteoriche sul sentiero con delle canalette.
Insomma, un doveroso lavoro di manutenzione, nulla di più. Sembra che a Rovereto diano quasi fastidio queste piste. Fossero emerse da qualche parte in val di Non chissà come sarebbe andata. Guardate cosa hanno inventato i nonesi a Fondo, dentro il rio Novella: un canyon che è sempre rigonfio di visitatori con caschetto. In Puglia, qualche anno fa, è venuta alla luce un'area simile, ad Altamura. Lì c'è il museo. E si paga il biglietto.

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