Dallapiccola: «Carne, la filiera trentina non è detto sia sempre la migliore»
L’addio degli allevatori al Sait. L’ex assessore, padre del marchio “Qualità Trentino”, difende la scelta: «Importanti sono gli ultimi sei mesi di vita della bestia». L’attuale assessore Zanotelli replica: «Stiamo valutando di modificare il disciplinare per valorizzare le nostre materie prime»
Trento. Il fatto che la carne che mangiamo non provenga da animali nati in trentino ma solo importati dalla francia e poi ingrassati qui è prova di minore qualità? sul punto gli esperti si dividono e a noi consumatori non resta che fidarci degli uni o degli altri.
Posizioni opposte
Uno degli esperti (il presidente della Federazione allevatori Mauro Fezzi) ieri ha spiegato che il marchio “Qualità Trentino” (quello apposto sulla carne venduta oggi da Sait) non tutelerebbe la filiera locale perché il riconoscimento viene concesso anche ad animali importati dall’estero e che hanno trascorso in Trentino solo gli ultimi sei mesi di vita. «Per noi che lavoriamo gli animali in Trentino dalla nascita alla macellazione, quel marchio è una fregatura» - ha tagliato corto il presidente.
L’altro esperto è l’ex assessore Michele Dallapiccola che di mestiere fa il veterinario. È lui il padre del marchio contestato e lo difende così: «La Francia ha una lunga tradizione di produzione di razze da carne, Charolaise, Limousine, Aubrac, nomi altisonanti per la cucina internazionale. Parliamo di animali di pura razza selezionati appunto per la qualità della fibra dei loro muscoli, dunque della loro carne, che hanno trascorso il loro primo anno di vita nelle ampie praterie della nostra Europa. Portati in Trentino trascorrono almeno 6 mesi nelle nostre stalle per arrivare al punto ottimale di sviluppo del proprio muscolo. Da veterinario confermo che dai più ampi studi in merito non esistono residui farmacologici reperibili in organismo vivente per un periodo superiore ai 180 giorni. Questo stato di cose è confermato ampiamente anche da EFSA, l’ente sanitario ufficiale di riferimento Comunitario. È per questo motivo che quando costruimmo il disciplinare “Qualità Trentino” decidemmo di adottare questo termine come necessario e sufficiente per poter avere garanzie sulla qualità della carne. Si sarebbe in questo modo data ai trentini la possibilità di scegliere tra animali nati e allevati in Trentino incrociati con le nostre vacche ma anche di poter disporre di quegli animali che pur non nati in Trentino sono qui onestamente allevati e portatori di carni pregiate selezionate specificatamente per la qualità della loro fibra e gusto alimentare».
Carne trentina e cibo artificiale
Dallapiccola, in sostanza, considera dirimenti per la valutazione della qualità della carne solo gli ultimi sei mesi di vita dell’animale. Il primo anno di vita (la sua gioventù) conterebbe fino ad un certo punto. «E volendo proprio entrare nel dettaglio - prosegue l’ex assessore e veterinario - gli animali che arrivano dalla Francia pascolano allo stato brado in aperta campagna mentre i vitelli che nascono in Trentino spesso sono allevati dentro le stalle al chiuso e nutriti in maniera artificiale. Quindi non è detto che l’essere nati in Trentino costituisca di per sé elemento di maggior garanzia rispetto all’essere una bestia da carne nata in Francia e poi ingrassata in Trentino».
Chi amministra oggi - conclude Dallapiccola - ora farà legittimamente le proprie scelte. «Parlare però di fregatura come ha fatto una persona che considero colta e preparata come il Presidente Fezzi è scorretto. Scredita chi lavora onestamente in maniera indipendente».
Modifiche al disciplinare
E chi amministra oggi è l’assessore della Lega Giulia Zanotelli che, sul punto, interviene spiegando che «come giunta questo è un tema che ci sta molto a cuore poiché per noi è sempre fondamentale valorizzare le materie prime del nostro territorio. Non nego che stiamo facendo un ragionamento complessivo attorno al disciplinare del marchio “Qualità Trentino” relativo alle carni per capire in che modo modificarlo al fine di riconoscere maggiormente anche il lavoro di quegli allevatori che rispettano a pieno la filiera della carne trentina, dalla nascita alla macellazione. Questo, naturalmente, senza compromettere la tutela di altri allevatori che lavorano in modo onesto e rispettando le attuali regole del disciplinare e che offrono un prodotto lavorato di alta qualità e perfettamente rispettoso dei criteri di salubrità della carne».
«Situazione anomala»
La questione, oltre che nei rapporti tra allevatori e giunta provinciale, va impattare anche nelle relazioni intercooperative visto che - sul prezzo della carne 100% trentina - si è consumato il divorzio tra Sait e allevatori, come abbiamo raccontato sul Trentino di ieri. Ecco, che cosa dice la Federazione delle Cooperative? «Innanzitutto - afferma la presidente Marina Mattarei - non posso non notare che le conseguenze del disciplinare del marchio “Qualità Trentino” creano una situazione davvero anomala. Sarebbe ingiusto, però, scatenare una guerra dentro il mondo degli allevatori. Ora raccoglieremo le loro istanze e ne discuteremo con la giunta, mentre sugli acquisti di carne 100% trentina che oggi sono gestiti dal Poli, io mi limito a confermare le che le singole Famiglie cooperative mantengono la libertà di rifornirsi dove meglio credono, quindi anche dalla Federazione».
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