Dal bucato fatto a mano alle nuove povertà

Com’è cambiato Gardolo da quando si stringeva attorno alla sua piazza Gli anziani ricordano il boom edilizio e l’arrivo degli immigrati


di Sara Marcolla


GARDOLO. C’era un tempo in cui nella piazza di Gardolo c’erano il fabbro ferraio e la selleria, in cui si giocava a palla sulla strada, in cui la pasta si mangiava solo la domenica. Il paese era formato da un gruppo di case storiche, raggruppate attorno alla vecchia chiesa; via Sant'Anna, via Soprasasso, via 4 Novembre erano occupate dalla campagna. Lo ricorda bene Laura Giacomoni, classe 1926, una simpatica signora nata e cresciuta a Gardolo, che in 86 anni ha visto il paese crescere e cambiare radicalmente. Abbiamo voluto chiedere a lei, storica gardolòta, di raccontarci l’evoluzione del sobborgo, vista attraverso i suoi occhi. «Ricordo durante gli anni della guerra, in piazza c’era un tabacchino, un negozio di alimentari, il bar Savoia e tre osterie l’Aquila nera, dove attualmente ci sono le poste, la Croce bianca e le Tre spighe, dove lavoravo io con la mia famiglia. Ricordo la selleria, vicino alla chiesa, diventata poi prosaccheria (dove si vendono zaini). La fisionomia della piazza era completamente diversa. Ricordo quando è arrivato il bazar, che inizialmente vendeva pochi prodotti per il cucito; poi con gli anni si è ingrandito e ha inglobato altri negozietti. Nel portico c’era la fucina del fabbro ferraio, dove più tardi si è cominciato a realizzare le prime cucine economiche. In quegli anni (anni 30-40) si faceva il bucato a mano; era un lavoraccio, si faceva due volte all’anno, con la cenere, ma poi era un piacere vedere le lenzuola stese al sole, sentire il profumo. E poi l’acqua che rimaneva veniva usata per lavare i pavimenti che diventavano lucidissimi, e anche per lavarsi i capelli, che assumevano un colore ramato. Gli uomini erano per la maggior parte contadini, andavano a piedi o con il carro a Trento a vendere i fagioli che producevano in eccedenza. Ricordo la prima auto passata a Gardolo, era una Balilla grigia e tozza, non slanciata come le auto di adesso. Negli anni 50 sono arrivate le prime auto e poi anche la lavatrice. Negli anni 60 hanno cominciato a spuntare le prime nuove case e poi il boom dell’edilizia. I contadini hanno lasciato la campagna e sono andati a lavorare nelle fabbriche. Da lì mi sono accorta che cominciavo a vedere in giro volti sconosciuti, lo notavo soprattutto a messa». Laura Giacomoni ha lavorato fino al 1951 nella locanda di famiglia Le tre spighe che poi è stata venduta. Nel 1957 si è sposata. Poi è stata cassiera del supermercato Moser fino agli anni 70, quando è andata in pensione. Adesso è nonna di cinque nipoti e si occupa di volontariato con la Conferenza San Vincenzo, un’associazione nata a Gardolo nel 1951 per aiutare i poveri. Ora distribuisce vivande a chi ha bisogno. «Si rivolgono a noi tante famiglie, non solo immigrati ma anche tanti del posto. Non pensavo che ci fosse così tanta povertà al giorno d’oggi. I poveri sono aumentati tanto rispetto a una volta». Cosa le manca del passato? «Oggi c’è libertà, si può spostarsi, andare in gita. Ma un tempo c’era più contatto tra le persone, le feste erano un momento di gioia, di partecipazione, c’erano tutti. Ora siamo diventati più freddi».

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