Da Mussolini a Ciano: le vie scomparse
Le «donne operaie» e lo «Statuto dei lavoratori» sono in buona compagnia: ecco la storia dei nomi cancellati in città
TRENTO. “Diamoci appuntamento in via Benito Mussolini”, ecco una frase che si poteva sentire tra il 1925 e il 1945. Quelle persone dovevano incontrarsi nell’attuale via Alfieri. Oppure, “passare per largo Galeazzo Ciano” voleva dire transitare da largo Porta Nuova, proprio davanti a quella che era la Casa del fascio. La denominazione “Littorio” (appellativo del fascio) era addirittura triplice: dal 1937 c’era piazza Littorio (ora piazza Vicenza), ponte Littorio (ora ponte Vicenza), galleria Littorio (ora galleria dei Partigiani). Una passeggiata in piazza Vittorio Emanuele III dal 1921 al 1945 significava fare due passi attorno alla statua del Nettuno, dal 1945 al 1960 quegli stessi due passi erano in piazza Cesare Battisti e dal 1960 a tutt’ora sono in piazza Duomo. Per Giacomo Matteotti, ucciso dai fascisti, si arrivò a un’intitolazione nel 1957, mentre via Manci si chiamò subito così dopo la Liberazione. Per andare un po’ più un là nel tempo dal 1888 al 1921 si chiamava via Alessandro Vittoria la grande strada che ha segnato un tratto dello sviluppo urbanistico della città a partire dal portone del Duomo fino alla linea ferroviaria. È diventata via Verdi nel 1921 quando allo scultore Vittoria venne dedicata l’attuale piazza davanti al palazzo delle Poste dove in realtà già dal 1909 era eretto il monumento in suo onore. Perché non fu via Verdi già partire dal 1888? Perché il nome Verdi voleva anche dire “Vittorio Emanuele Re D’Italia” e il Governo asburgico certo non poteva permetterlo sulla targa di una strada tanto importante.
Ecco quindi alcuni esempi di come la toponomastica sia un “arte” sottoposta ai venti della storia. Ve n’è stato un esempio recente nella vicenda dell’ex Michelin dove si è raggiunta la vetta del tatticismo politico nel proporre la “via Donne lavoratrici” opponendosi a “via Donne operaie”. Chissà perché il “padrone” Michelin, quando organizzava le colonie estive dei figli delle operaie e degli operai, usava quella parola, tanto negletta ora dai suoi difensori postumi?
Oggi la toponomastica è vieppiù delicata in quanto immutabile. Infatti, salvo cataclismi politici e sociali, nessuna amministrazione cambia denominazione alle strade. La ragione è presto detta: farebbe andare in bestia tutti i residenti, i quali dovrebbero sobbarcarsi la noia (e le spese) di cambiare indirizzo su patente, tessera sanitaria, carta d’identità, e mille scartoffie quotidiane.
Una dimostrazione, anzi due? Nel 1995 venne accorciata via san Francesco per creare largo Pigarelli davanti al Tribunale. Fu possibile perché non ci sono residenti: in quel largo vi è un solo numero civico, il numero 1, che corrisponde al palazzo di Giustizia. L’altro esempio è il recente largo Volontari donatori di sangue tra via Orsi, via Gocciadoro e via Fogazzaro. Anche in questo caso lì non ci sono abitazioni: gli edifici in prossimità di via Fogazzaro sono stati “salvati” mantenendoli in via Gocciadoro. Per un bel po’ di tempo ora a Trento non vi saranno più molte strade da intitolare, a meno che non si “spezzetti” via Sanseverino, oppure si creino vie nello spazio delle caserme demolite in via Mas Desert. Resta il fatto che, ad onta di tutto, la città è ancora senza una “via Autonomia”, una strada “Accordo di Parigi – Patto Degasperi Gruber”, una vera “piazza Concilio di Trento” che non sia il sagrato della chiesa di Cristo Re.
Dal 1960 abbiamo però una “piazza della Libertà”. È a Gardolo: ogni tanto vale la pena andare nel sobborgo proprio per passeggiarvi.
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