Castelli: "Vi racconto il Trentino"
Il popolare attore torna in teatro con "Trentini & Trentoni"
TRENTO. Castelli, nel senso dell'Andrea, torna «mattattore». Lo fa dopo essere stato - (e sarà ancora) - felicemente, attore per lo Stabile di Bolzano. Andrea Castelli riveste, insomma, l'abito del «monologante»: fatica, stimolo. E viceversa. S'infila, il Castelli, nel ruolo di colui che fa ridere di vizi e virtù comuni senza mai nascondere del tutto - (ma è così fin dall'inizio), una vena critica. E amara. Nudo, (ma, sereni, è una metafora), con i suoi pensieri. A voce alta. Pensieri, stavolta, «dedicati» all'anima double face della sua terra. Il bello, (che è tanto) e, insieme, il brutto, (che non è poco) di un'umanità stramba: turismo, soldi, suv ma ottica radicalmente montanara.
L'ecomiabile e il deprecabile del Trentino, allora. I motivi d'orgoglio, (tanti, di nuovo), ma anche quelli per cui non c'è da gioire. Il Castelli che torna solitario in scena ha scelto un titolo con la «&» commerciale. Dunque: «Trentini & Trentoni», che debutterà il 22 al Cuminetti, (fino al 25).
Che Castelli sarà? Non potrà essere - of course - quello intensamente credibile del «Pallone Rosso»: il padre amorevolmente contorto di una vittima di illusioni collettive, (poi avariate). Il padre, cioè, di Mara Cagol. Ma quello di «Trentini & Trentoni» non sarà nemmeno il Castelli usa, divertiti e getta delle battute dell'era «spiazarola». L'esperienza professionistica di palco - (specie quella «sotto regia» - modifica il dna di qualsiasi artista. Migliorandolo.
Ed in un monologo - prova solitamente difficile ma al tempo esaltante - quel che di buono si è fatto s'amplifica anche nei particolari: il gesto, la pausa, lo sguardo, l'accento, eccetera. Il particolare di «Trentini & Trentoni» sembra essere - a sentire Castelli - il guardarsi dentro, l'esplorare pubblicamente se stesso, per raccontare una collettività. In realtà - sul palco a sua volta spoglio - Castelli parlerà con un invisibile analista. «Evidenziando - dice, schernendosi solo apparentemente della qualità della sfida - il conflitto interiore che comporta in sentirsi trentini».
Mica uno scherzo dunque. Non sarà che l'analista, oggi ad uso teatrale, ti serve davvero?
Può essere. Da trentino vivo una sorta di dissociazione. Apprezzo, anzi, ammiro, le numerose doti di questa terra e della sua gente. La laboriosità, l'onestà, un certo rigore, la cura dell'ambiente, la forza delle radici. Eccetera. Ma c'è anche la malomostosità, una certa tendenza al piagnisteo ingiustificato, la resistenza ad ampliare lo sguardo fuori dalle montagne. Il guardarsi troppo indietro. Il guardare troppo poco avanti.
Cavolo. Ma non dovrebbe essere uno spettacolo comico? I «Trentoni» sono di bocca buona. Ad abbondare di introspezione, si rischia.
Ma si riderà. Ci mancherebbe. Solo che far ridere senza porsi il problema di far pensare non è cosa nè buona, nè giusta.
E di che rideremo, dunque. Più dei trentini o più dei trentoni?
Di entrambi i caratteri. E nelle varie epoche. Lo spettacolo non ha una trama. S'improvvisa, (almeno così si fa credere). E ci si butta nel passato come nel futuro. C'è la preistoria, il Neanderthal del Trentino. C'è la storia con i suoi personaggi chiave, da Battisti ad Hofer. E c'è un futuro che ridicolizza, (e qui un po' d'amarezza non si può negare), troppe tiritere del presente.
Chiaro come vagare senza una pila dentro un ettolitro di inchiostro nero.
Ma no. Prendiamo ad esempio il passato. Il mio Hofer è un'eroe per caso, e senza forse nemmeno volerlo. Gli tolgo il mito e provo a lasciare l'uomo. Quanto al futuro, siamo qualche centinaio d'anni oltre l'oggi, si sparlerà ancora di inceneritore, metropolitana di superficie e piano di rilancio del monte Bondone.
Politica, dunque. Quella con la «p» minuscola delle promesse mancate.
Non direi politica. Semmai costume e noia per discorsi triti, pomposi e terribilmente vuoti.
Per altro la politica, anche teatralmente parlando, non è mai stata una tua passione.
Bingo. Infatti è sull'indole, sull'osservazione di luoghi comuni tra comuni mortali, sulle piccole manie, che mi concentro. Lo faccio sdoppiandomi: la mia orsitudine trentina e, insieme, il mio terronismo.
E cioè?
Cioè l'insopportabile situazione di cercare con tutte le forze il sole dopo 11 mesi e mezzo di freddo trentino e di trovarsi il solito trentino/trentone malmostoso che subito si lamenta del caldo.