«Candidarmi? Se mi vogliono io ci sono»
Lucia Fronza Crepaz è tornata a Trento: «Dalla sentenza Grisenti un segnale di speranza»
TRENTO. La prima domanda la fa lei: «Che cosa pensa della sentenza su Grisenti?». E l'esordio rivela quanto la politica sia ancora in cima ai pensieri di Lucia Fronza Crepaz. Anche ora a Trento, dove è tornata dopo 17 anni a Roma al servizio del Movimento dei Focolari. Tornerà a candidarsi, l'ex deputata della Dc? Lei non lo esclude, pur frenando: «Sono candidabile come tutti lo siamo». E come un cerchio che geometricamente si chiude, l'intervista che segue si conclude ancora con Grisenti. Esattamente com'era iniziata.
Dottoressa Fronza, perché aveva lasciato Trento?
È una decisione che io e mio marito Paolo avevamo preso assieme. Siamo partiti perché Chiara Lubich ci ha chiamati. Io faccio parte del movimento dall'età di 12 anni, Paolo da poco dopo. È stata l'esperienza centrale della nostra vita.
Avvenne nel 1994, dopo la sua mancata rielezione alla Camera.
Sì, i cittadini dissero "grazie, ne abbiamo abbastanza" scegliendo Berlusconi.
Cioè la leghista Bertotti.
No, scelsero proprio Berlusconi. I suoi candidati non ci misero neppure la faccia. Vinse in tutti i seggi, si salvò solo quello proporzionale regionale di Gubert. Tre settimane dopo Chiara ci chiamò e noi partimmo. Dopo 17 anni, ci siamo detti che avevamo dato tutto e che era tempo di lasciare spazio al nuovo. E un'organizzazione carismatica si basa sul ricambio tra centro o periferia, sennò diventa una burocrazia. Tra l'altro io, alle mie spalle, ho un partito che è morto esattamente per questo motivo.
Perché ora è tornata?
Io e Paolo abbiamo un desiderio: a Roma si fa formazione, si è più portati alla parola che alla testimonianza. Per anni abbiamo detto a tutti che essere cristiani significa occuparsi della propria gente, fare la mamma ma anche la cittadina attiva, misurare i propri beni sul bisogno dell'altro. Ora è il momento di applicare quello che abbiamo predicato.
Rientrerà in politica?
Non lo escludo, ma non lo sto cercando. Il Trentino è una terra piena di risorse e non credo che ci sia qualcuno che pensi: eccola, finalmente è tornata, candidiamola. Non mi ritengo mandata da Dio. Sono candidabile come tutti lo siamo.
Nel'94 la sua sconfitta elettorale fu figlia del bipolarismo. Se ora dovesse pensarsi in un partito, dove si collocherebbe?
Non voglio eludere la domanda, ma faccio fatica a vedermi in uno degli attuali partiti.
Allora giriamo la domanda: in quali di questi partiti non si vedrebbe proprio?
Non a destra. Diciamo dal centro al centrosinistra, dove peraltro ero collocata prima, perché facevo parte della sinistra Dc. Ma in questo momento si deve pensare in termini nuovi. I partiti di oggi sono profondamente in crisi, il Pd come il Pdl: invece di restare a contatto con il mondo che si trasforma, ragionano secondo logiche di autoconservazione. Se non cambieranno la propria dirigenza, saranno destinati a morire e ad essere sostituiti da un mix di società e politici locali. Che si collocheranno in maniera molto diversa rispetto a come ci si potrebbe aspettare di vederli collocati.
L'ennesimo rimescolamento di carte?
Sì, ma non tanto fra di loro come è successo, in maniera un po' schifosa, nell'attuale parlamento della compravendita dei politici. Parlo di un rimescolamento profondo tra società e classe politica.
Bisogna però mettersi d'accordo su che cosa si intende per società. Alcuni valori dei cattolici in politica di cui si è discusso lunedì a Todi, per dire, non sono condivisi da larghe fette di società. E di partiti. In particolare a sinistra.
Ci sarà stato anche chi immaginava di fondare un nuovo partito, o di mettersi con l'Udc. Ma a Todi c'era il popolo dei cattolici, 16 milioni di persone organizzate in movimenti, associazioni, fondazioni. Persone che non s'inventano oggi di amare l'Italia, ma che lo fanno da sempre. Ed è legittimo unire le forze in un momento in cui il Paese è in crisi.
Il punto è però sempre lo stesso: quando arriva l'ora delle scelte politiche sui cosiddetti "valori ultimi non negoziabili", di cui ha parlato a Todi il cardinal Bagnasco, nel Pd iniziano i guai.
Ma Bagnasco a Todi ha detto anche altre cose importanti. Ad esempio, che per i cattolici non impegnarsi nel sociale costituisce peccato di omissione. Per il quale ci si deve confessare. E il sociale, come lo intende Bagnasco, è profondamente connesso alla politica. Perché la vocazione politica tenga e non diventi vocazione al potere, deve essere profondamente provata prima nel sociale.
Questi 16 milioni di cattolici si possono tutti ascrivere alla schiera di quelli impegnati in politica?
Nel sociale sì. E siccome sono abituati a occuparsi di nuove povertà, di accoglienza verso gli extracomunitari, di giovani a cui dare un futuro, sono estremamente preoccupati.
E quei cattolici che fanno riferimento a un partito come la Lega Nord, che cosa dovrebbero pensare di ciò che ha detto Bagnasco?
Ho già problemi a rispondere del mio cattolicesimo, figuriamoci se voglio giudicare quello degli altri. Ma io che credo nella massima accoglienza possibile verso gli extracomunitari, di fronte a un cattolico leghista che mi esprime la sua paura, me ne faccio carico. E dico: insegniamo loro la Costituzione, organizziamo i doposcuola, coinvolgiamo i nostri figli nell'insegnare e imparare le diverse lingue. Il problema sono i politici che giocano sulla paura per farsi votare.
Di valori da riportare al centro della politica non parla solo Bagnasco: alla vigilia di Todi, lo hanno fatto in un manifesto pubblicato da Avvenire tre intellettuali di sinistra come Giuseppe Vacca, Pietro Barcellona e Mario Tronti, assieme al cattolico Paolo Sorbi.
Ma anche Veltroni ha scritto un'intera pagina sul Foglio, qualche giorno fa. Apriamo un confronto sui valori, diceva, tra laici e cattolici. Spesso ci sbagliamo, noi cattolici: noi siamo in politica non "per" questi valori, ma "illuminati da" questi valori. Io sono in politica per un'economia più giusta, certamente con l'orizzonte della famiglia, per rapporti internazionali più giusti, alla luce del rispetto della vita. Sennò sembra che i cattolici si sveglino improvvisamente solo se si parla di vita, famiglia e libertà religiosa e che dormano profondamente se si parla di economia o di sanità. E a volte anche noi cattolici, per farci votare, diciamo: siamo noi quelli della famiglia e della vita. Come se altri fossero per il divorzio o per la morte.
Ma è esattamente quello che venne detto nei giorni del dramma di Eluana Englaro. Chi più si diceva per la vita, classificava gli altri come "quelli per la morte".
La vita e i valori non vanno usati come una clava, sono una luce e un cammino. Chiara Lubich ci ha insegnato che i valori sono universali, umani. Tutti siamo per la vita, la pace, la giustizia, la famiglia. Questi valori non sono un peso da portare, ma un cammino che si riscopre ogni giorno. E che va condiviso con tutti.
Quando però si arriva al nodo, casca il palco. Ricorda le polemiche sui Pacs o sulla fecondazione eterologa?
Io ero contro l'eterologa anche come medico: il cattolicesimo di per sé c'entrava poco. Avrei detto no anche a una legge sui Pacs. Ma se invece fossi sindaco e mi occupassi di case popolari, se ci fosse una coppia con figli, guarderei ai figli, non al certificato matrimoniale.
In questi casi comunque ci si conta. E ci si divide.
Ma si accetta il verdetto. Certo, io dal punto di vista cristiano cercherò di formare il più possibile le famiglie, i giovani, le coppie. Ma non in parlamento: lo farò nella società.
Prodi è caduto due volte per i voti di pochi parlamentari di estrema sinistra. Con il risultato di consegnare l'Italia a Berlusconi. Conviene essere sempre intransigenti sui propri valori?
Se sono ragioni profondamente legate alla propria coerenza di vita, può cadere anche un governo. Ma politicamente Prodi non è caduto per mano dell'estrema sinistra, bensì per mano di D'Alema. In entrambe le occasioni. È una delle ragioni per cui dico che i partiti devono cambiare profondamente. Siamo uno dei pochi stati, per via di questa legge elettorale, in cui il parlamento è peggiore della società.
Non a caso la gente si è precipitata a firmare per il referendum abrogativo.
Anch'io, seppur storcendo il naso. Il "Mattarellum" non è il massimo. Ma in politica, se passa un treno, bisogna prenderlo. Non sempre si può aspettare proprio quello giusto.
Che cosa pensa del berlusconismo degli ultimi trent'anni? Le ragazze che vogliono diventare veline, ogni cosa che ha un prezzo e quindi si può comprare, la parata di escort ad Arcore...
Sarà più facile mandare via Berlusconi che il berlusconismo. Per questo vedo con grande favore ciò di cui si è discusso a Todi, la volontà di rimettere i valori al centro. Il berlusconismo consiste nel scegliere la strada larga che porta alla perdizione invece di quella stretta che porta in salita. La mamma che dice no ai capricci dei bambini, il ragazzo che acquista il biglietto per il bus anche se non c'è il controllore, il politico che non si ritiene sopra ma sotto le regole... Tutto questo va ricostruito. E io credo che la società sia pronta per farlo. La "pancia" dell'Italia è bella, sana, piena di valori vissuti nella quotidianità. Penso soprattutto al nostro Trentino.
Se tornasse ad avere un incarico politico istituzionale, da che cosa partirebbe?
Aprirei un grande dialogo con la gente. Prenderei un gruppo di giovani e li terrei a portata di voce. Anche la sentenza su Grisenti racconta la fine, speriamo, di un tipo di governo fatto in solitudine. Io voglio, da cittadina, occuparmi delle mie "grane" insieme a chi ho delegato. Lei mi ha chiesto se mi candiderò o no. Questo non lo so. Ma questa parte invece la voglio fare.
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