l’opinione

Bypass, un’opera che vale due secoli

Il passante va fatto, ma il tracciato ora passa sopra i terreni di Trento Nord intrisi di veleni 


Luigi Sardi


TRENTO. Ecco, la velenosità del "pt", l'antidetonante della benzina da tempo fuorilegge, era ben nota anche per grido di piazza oltre mezzo secolo fa, poi conclamata da inchieste della magistratura, migliaia di articoli di giornale mai rettificati o querelati, accertamenti affidati ad Università, dibattiti, libri, lavori teatrali, filmati, tavole rotonde, in vero anche imbandite, innumerevoli piezometri ficcati nel profondo del terreno dove adesso si vuol far passare in galleria la progettata linea ferroviaria destinata a liberare l'Autobrennero da un traffico di autotreni ormai al limite.

Certezze che fecero dire a Lorenzo Dellai appena diventato sindaco di Trento nel giugno del 1990, che in quei terreni "è sepolta una bomba ecologica innescata che non possiamo consegnare ai nostri figli". Sono passati molti anni, i figli ci hanno regalato i nipoti, ma la citata "bomba" è ancora lì visto che proprietari dei terreni sui quali si vorranno far sorgere maestosi condomini, probabilmente su palafitte, si rifiutano di permettere sondaggi in vero forse inutili, visto che sulla velenosità delle scorie abbandonate - un tempo si usava ficcare nel profondo del terreno gli scarti delle industrie - si è indagato per anni. Accertandone la velenosità.

Sono stati spesi denari in abbondanza dal 14 luglio del 1978, il giorno dell'incendio che se avesse raggiunto i depositi del piombo tetraetile avrebbe trasformato Trento in un cimitero. Lo capì il sindaco Giorgio Tononi che ordinò l'immediata chiusura della Sloi anticipando la procura della Repubblica ampiamente informata sull'enorme rischio corso dai cittadini di Trento; lo aveva capito Bruno Dorigatti, già sindacalista poi Presidente del Consiglio provinciale, e lo dovrebbero sapere quanti oggi si oppongono alla decisione di concedere ai tecnici incaricati di un nuovo sondaggio, l'accesso ai terreni.

Se non ci fosse un conclamato inquinamento, non si sarebbero messi di traverso al cantiere detto "pilota". In vero, la massa dei dati raccolta dall'architetto Alverio Camin dovrebbe bastare a fugare ogni dubbio, confermando una certezza: i terreni sui quali sorgevano la Sloi e la Carbochimica sono avvelenati. E ancora non si sa come ripulirli. Da tempo c'è il disco verde al passante ferroviario; certo, se resisterà l'attuale progetto, la ferrovia cambierà profondamente e definitivamente il volto della nostra città come avvenne alla metà dell'Ottocento a cominciare dal 1858 quando il corso del fiume Adige venne spostato dal tracciato San Martino, Torre Verde, via Verdi, Torre Vanga all'attuale alveo.

E ci fu un altro cambiamento nella Trento del trapassato remoto quando il 26 aprile del 1896 l'Imperatore Francesco Giuseppe inaugurò la tratta della ferrovia della Valsugana che andava fino a Tezze, al confine dell'Impero con il Regno d'Italia. Il viadotto con le 123 arcate è lì da oltre un secolo e salvo imprevedibili disastri, continuerà ad accompagnare la città nei tempi futuri. E mentre il dibattito sul futuro tracciato della ferrovia è già entrato nella tenzone elettorale, che si prefigura molto aspra, torna l'idea di un tracciato sulla destra Adige. Risale alla fine degli anni Cinquanta, pare sia stato studiato soprattutto dal famoso ingegnere Lino Gentilini, il progettista dell'Autobrennero e suggerito da Carlo Pesenti il padrone dell'Italcementi di Piedicastello. Voleva sfruttare la roccia del Dos Trento trasferendo nell'interno della Verruca la stazione ferroviaria, allestendo una piscina olimpica, all'epoca c'era in via Madruzzo la vasca detta "Cock", una pista di pattinaggio e facendo capire che lo scavo avrebbe garantito sicurezza alla città, si era appunto nel tempo non ancora tramontato, della "guerra fredda".

E un rifugio anti atomica era nei pensieri di molti. L'Italcementi avrebbe pagato il trasferimento della strada ferrata sulla destra Adige, la costruzione di un ponte sul fiume a sud di Zambana, una passerella coperta e munita di una sorta di "finger" per portare i passeggeri sul tappeto mobile fino ai piedi di Torre Vanga. Si disse subito di no, o meglio: Bice Rizzi, l'ultima donna del Risorgimento, si oppose insieme con Livia Battisti, la figlia di Cesare e di Ernesta Bittanti. Sostennero che non si poteva toccare quel colle elevato a simbolo della "Trento Redenta". E il progetto finì nei cassetti delle idee non realizzate. Oggi senza spostare la stazione, visto che la progettata tratta sarà solo per le merci, si propone di spostare il tracciato ai piedi del Monte Bondone. Come si era pensato 70 anni fa













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