Boom telelavoro, la Provincia è al 10%
Quasi 400 lavoratori autorizzati a collegarsi da fuori ufficio
TRENTO. Sono quasi 400 i dipendenti provinciali inquadrati con una forma di telelavoro. C’è chi al mattino, invece di uscire e raggiungere l’ufficio, accende il pc installato in un locale della propria abitazione e comincia a lavorare. Ci sono quelli che raggiungono uno dei centri di telelavoro creati sul territorio provinciale e lavora da lì, con un risparmio sui costi (e soprattutto sui tempi) di trasporto. E poi ci sono funzionari e dirigenti dotati di attrezzature di “smart working” che possono in qualsiasi momento connettersi con l’ufficio e con i colleghi.
Per la Provincia di Trento si tratta di un percorso cominciato nel 2012 e che quest’anno ha superato la soglia del 10 per cento di telelavoratori indicati dal decreto Madia come il livello minimo che la pubblica amministrazione dovrà raggiungere entro i prossimi tre anni. Ma nel frattempo i telelavoratori trentini saranno aumentati ancora, come spiega il presidente Ugo Rossi che avviò questo processo nel 2012 da assessore alla sanità: «Stiamo lavorando per individuare altre posizioni lavorative che si prestano ad essere gestite in questo modo» spiega.
«Ci sono vantaggi per le famiglie (con una migliore conciliazione dei tempi casa-lavoro) ma anche per l’amministrazione che ha la possibilità di risparmiare e avere allo stesso tempo dipendenti più produttivi». Perché - lo dicono i dati raccolti in questi anni - i telelavoratori si ammalano meno, non effettuano ore di lavoro straordinario (questo è l’accordo), non utilizzano i buoni pasto e hanno la stessa produttività dei colleghi in ufficio.
Ma Rossi mette in evidenza anche i vantaggi per la collettività: «Con il telelavoro tante persone evitano spostamenti quotidiani e in questo modo restano in vita anche le piccole comunità che sono una parte importante del nostro territorio». La Provincia su questo è un apripista tanto che - come ricorda Paola Borz, del servizio personale - i tecnici provinciali hanno fatto parte anche del pool ministeriale che si è occupato di telelavoro in vista del decreto di riforma della pubblica amministrazione.
Spostarsi dall’ufficio a casa rappresenta una piccola rivoluzione che bisogna imparare ad affrontare: per questo la Provincia segue i propri telelavoratori per aiutarli ad affrontare i nuovi ritmi, ma anche per verificare che gli spazi siano adeguati ad ospitare un’attività lavorativa. Ma attenzione: linea telefonica e mobili sono a carico del lavoratore, mentre la Provincia si limita a mettere a disposizione un pc portatile completo del software per connettersi con l’ufficio, con telecamera e microfono per le video conferenze.
Chi può farlo? «Sono i dirigenti di ogni servizio a stabilire quali sono le posizioni idonee a essere organizzate con il telelavoro» spiega il dirigente generale Luca Comper. «Comunque tutti i dipendenti che hanno chiesto il telelavoro e sono stati dichiarati compatibili hanno avuto l’opportunità di farlo». E i problemi? «Il telelavoro richiede la collaborazione di tutte le persone che lavorano in un ufficio, anche quelle che restano in sede e su cui talvolta ricadono compiti che - per vari motivi - non vengono gestiti in telelavoro». Deve essere per questo che i giudizi più positivi sul telelavoro sono quelli di chi lo fa. Gradimento minore, invece, per chi resta in ufficio.
Le situazioni dei telelavoratori sono molto diverse fra loro, i quasi 400 dipendenti appartengono a vari inquadramenti contrattuali, ma per tutti è previsto (almeno) un rientro settimanale in ufficio per evitare di perdere i contatti con i colleghi e con l’ambiente di lavoro. Pare impossibile, ma anche l’ufficio (visto da casa) può essere oggetto di una certa nostalgia.