Assalto al palazzo consiglio occupato

Protesta dei sindacati di base con il Centro sociale Bruno e l’assemblea sociale per la casa. Fumogeni e grida: «Ladri». Saranno tutti denunciati


di Chiara Bert


TRENTO. Un assalto in piena regola, al grido «Vergogna, ladri, ridateci i soldi». Consiglio provinciale occupato, è la prima volta nella storia che avviene. Lavori interrotti per un’ora, i manifestanti - una cinquantina, sindacati di base, militanti del Centro sociale Bruno, assemblea sociale per la casa - fanno irruzione nell’emiciclo. Sotto gli occhi basiti dei consiglieri, srotolano un lungo striscione: «Ridateci il malloppo, dovete darci il denaro. Casa e reddito per tutti». La protesta era cominciata in piazza Dante, sotto le finestre del palazzo della Regione. Ezio Casagranda, ex Filcams, ora sindacato di base dopo l’espulsione dalla Cgil, urla al megafono: «A un operaio non bastano 40 anni di lavoro per prendere le vostre pensioni».

Sono le 10.20 quando parte l’assalto al palazzo: i manifestanti - molti giovanissimi, capitanati da Casagranda e Fulvio Flammini – entrano lanciando fumogeni rossi. L’aria si impregna, anche dentro l’edificio. Il blitz è cominciato, a decine salgono al primo piano, quello del consiglio. Scandiscono in coro, «Ver-go-gna, ver-go-gna. La-dri, la-dri». Arrivano in anticamera, alla buvette, ormai nessuno può fermarli. Non ci sono argini, non i pochi carabinieri che presidiano sotto il palazzo. Non i commessi del consiglio, disarmati di fronte alla superiorità numerica. Uno di loro - lo si vede nei video - timidamente si mette il dito sulla bocca, a dire “Ragazzi, silenzio, qui siamo in aula». Ma è tardi. In aula i manifestanti ci sono già. Consiglio occupato. Palazzo espugnato.

Le urla diventano un grido da stadio: «Buf-fo-ni. La-dri, la-dri. Dovete ridarci i soldi, agli studenti lavoratori, agli immigrati senza casa». I consiglieri assistono, colti totalmente di sorpresa dalla protesta. I più restano immobili nei loro banchi. In scacco. Fuori esplodono altri fumogeni.

La seduta era cominciata da un quarto d’ora, l’assessore agli enti locali Carlo Daldoss sta rispondendo a un’interrogazione di Walter Viola sull’aumento dei canoni Itea. Tutto si ferma, compresa la ripresa video dei lavori d’aula: improvvisamente compare il nero, «seduta sospesa».

I manifestanti hanno ottenuto ciò che volevano: bloccare i lavori. A quel punto è il presidente della giunta Ugo Rossi a scendere le scale dell’emiciclo: «Ci penso io». Raggiunge i manifestanti, parla con loro, a tratti sorride come si fa con un figlio scapestrato, mentre li invita a sgomberare l’aula. Il presidente del consiglio Bruno Dorigatti invece è infuriato, rosso in viso. Non accetta di sospendere i lavori del consiglio per incontrare gli occupanti: «No, non si fa così. Non si smantellano così le istituzioni», urla ai manifestanti, diversi dei quali ben conosce per la sua storia tutta dentro la Cgil. Come Flammini, un altro espulso Cgil ora nel sindacato di base, che lo attacca: «Presidente operaio, ti sei dimenticato le tue battaglie. Ora stai con il potere». E gli sfottò continuano fuori: «Compagno presidente, stai con i ladri». È lui il primo sul banco degli imputati, accusato di alto tradimento alla classe operaia. Ma lui non ci sta, e reagisce, sanguigno ma fermo: «Non ci si siede al tavolo sotto ricatto». Nasce qui lo scontro, neanche velato, con Rossi: le loro due linee divergono.

Il governatore fuori parla ancora con i manifestanti e cerca di mediare. Loro pretendono un incontro pubblico, in piazza, «aperto alla città che stamattina in piazza ha dimostrato che la democrazia reale si costruisce lottando». Bollano i vitalizi come «scandalosi e in contrasto con la Costituzione», propongono che la retribuzione dei consiglieri sia collegata al reddito medio dei cittadini trentini: 23.500 euro all’anno.

«Se mi chiedete un incontro - risponde Rossi a Casagranda - io ve lo dò, non c’è problema, Ma non potete bloccare i lavori del consiglio, così domani mattina chiunque sarebbe autorizzato a farlo». Anche l’assessora Donata Borgonovo Re, foulard arancio al collo, discute con gli occupanti: ascolta e tenta di spiegare le ragioni dell’Icef. Il vicepresidente Alessandro Olivi prova a riguadagnare la via dell’aula. Gridano anche a lui: «Pensa ai lavoratori della Martinelli». Dopo quasi un’ora, è Casagranda a dare alla truppa l’ordine della ritirata: si scende al piano terra, in assemblea. Poi partirà un corteo spontaneo che si concluderà in piazza Duomo. Dentro il palazzo, quando mancano pochi minuti alle 11.30, i lavori in aula riprendono, dopo una schermaglia pubblica tra Dorigatti e Rossi, con l’assessore Michele Dallapiccola nel ruolo di paciere. Le question time possono attendere, un’ora buona se ne va per discutere di quanto è successo. Condanna da parte di tutti i consiglieri, ma con accenti diversi. «È stato commesso un reato grave e come tale dev’essere perseguito», annuncia Rossi. «Attentato contro organi costituzionali e contro assemblee regionali», recita l’articolo 289 del codice penale. Pena prevista da 1 a 5 anni di reclusione.

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