Aperture domenicali, tra Olivi e il Comune è guerra aperta

L’assessore: «Così Trento mette a rischio l’autonomia» Chiesto il parere di un superesperto: normativa legittima


di Luca Marognoli


TRENTO. Dopo la bocciatura, netta, da parte dei sindacati e delle categorie economiche, la “scomunica” pronunciata da Olivi. Piace solo ai consumatori e ai grandi gruppi commerciali la marcia indietro sulle aperture domenicali del Comune di Trento, che ha deciso di passare dalla dozzina di deroghe attuali a 40 (per un totale di dieci mesi l’anno), il massimo consentito dalla legge provinciale. Ma se Cgil, Cisl e Uil, assieme a Unione e Cti, contestavano il merito, sottolineando le conseguenze negative sulla vita privata dei lavoratori del settore, quello dell’assessore è un intervento squisitamente politico. E per questo ancora più pressante. Palazzo Thun - è la sostanza del richiamo dell’assessore - ha calato le braghe di fronte al governo su una materia delicata come il commercio, che è di competenza provinciale: se tutti facessero così l’autonomia, intesa come facoltà del nostro territorio di autoregolamentarsi, rischierebbe di essere smantellata. Olivi parla di «grimaldello» offerto a Roma per forzare la porta di un Trentino le cui prerogative potrebbero essere messe in discussione (e già lo sono a ben vedere) su più fronti. Da qui il richiamo, sia alle amministrazioni che alle categorie economiche e sindacali, a fare quadrato, «privilegiando un’azione unitaria e convergente per valorizzare la nostra identità anche in campo economico».

Potrebbe sembrare un controsenso che l’assessore, autore di una legge che prima del decreto Monti era criticata perché considerata un prototipo di apertura commerciale e di flessibilità si schieri proprio contro il governo che ha fatto delle liberalizzazioni la sua bandiera. Ma qui in gioco c’è qualcosa di più. «Non vogliamo sindacare le scelte del Comune. Ma siccome sembra che questo provvedimento venga assunto per allinearsi il più possibile alla normativa statale, si pone un problema di coerenza e compattezza del fronte locale». L’appello all’unità verrà lanciato mercoledì prossimo, quando Olivi incontrerà Comuni e categorie per fare il punto.

Ma la Provincia cerca anche alleati su scala nazionale: proprio oggi sarà presente con propri rappresentanti al tavolo di coordinamento della Commissione attività produttive in seno alla Conferenza Stato Regioni per verificare una possibile “alleanza” con chi (come Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli, Toscana e Lazio) ha deciso di impugnare il decreto Monti davanti alla Corte Costituzionale. L’ipotesi è di giungere ad una sorta di codice di autoregolamentazione.

Sul fonte regionale, intanto, un confronto è già stato intrapreso con i cugini altoatesini per estendere la normativa trentina a nord di Salorno. Ma la Provincia si muove anche sul piano legale: è stato richiesto il parere di un superesperto, il professor Valerio Onida, «che sostiene le nostre ragioni - dice Olivi - e tranquillizza rispetto a paventati rischi risarcitori che qualcuno ipotizza». L’entrata in vigore della legge statale «non comporta la disapplicazione della normativa provinciale: altrimenti sarebbe una giungla. Fra sei mesi sarà il governo, eventualmente, a metterla sotto sindacato di legittimità». E il rischio di una perdita di competitività del sistema trentino? L’assessore non nega che possa esistere, ma la legge - aggiunge - si può migliorare, assieme alle categorie. Purché sia una legge trentina.

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