Alcol e guida, l’esercito dei «volontari»

Boom di pene alternative al carcere. Ferrari di Trentinosolidale: «Abbiamo accolto 104 domande perché ci crediamo»


di Luca Marognoli


TRENTO. L’alcolismo, dipendenza che affligge il 26% dei trentini, ha riflessi potenzialmente drammatici sulla guida. Chi si mette al volante ubriaco, oltre che fare male a se stesso, rischia di farlo ad altri: per questo la prevenzione è ancora più decisiva, come lo è la rieducazione per chi viene sorpreso alla guida violando i limiti di legge (0,5 grammi di alcol per litro di sangue). Siamo di fronte ad un reato penale, ma la detenzione non è certo la risposta da dare. Per questo si ricorre a pene alternative che aiutino i responsabili a capire che hanno sbagliato e, nel contempo, producano effetti benefici sulla collettività. Ad illustrare la procedura è il dottor Roberto Pancheri, responsabile del servizio alcologico dell’Azienda sanitaria: «I fermati per guida in stato di ebbrezza - spiega - devono passare in commissione patenti, la quale prima di vederli chiede la nostra consulenza per valutare quanto è seria la problematica: se sia cioè un fatto occasionale o si tratti di un alcolista. Noi facciamo questa valutazione, poi proponiamo un ciclo di incontri serali su alcol e guida: la partecipazione è volontaria ma supera il 50% e l'attestato conseguito viene portato al processo che di solito si tiene un anno dopo il reato. In quella sede la condanna può essere trasformata nella prestazione di servizio per un tot di ore fissate dal giudice presso una serie di enti convenzionati». Uno strumento realmente utile o solo una scorciatoia scelta dagli interessati per convenienza? «Può essere utile per aiutare le persone a rendersi conto del disagio patito, diventando un momento di riflessione sui propri comportamenti».

Il tribunale però ha bisogno di partner e ne ha trovato uno convinto in Trentinosolidale Onlus, network che raccoglie 493 soci e porta avanti 147 progetti, il 15% dei quali dedicati alle povertà sul territorio provinciale. «Affianchiamo queste persone ai nostri volontari», dice la presidente Francesca Ferrari. «Abbiamo firmato una convenzione con il tribunale di Trento i primi di gennaio 2011 e 37 lavoratori socialmente utili (chiamati “lasu”, ndr) hanno già finito il loro percorso. In totale sono stati 104 quelli che hanno chiesto di svolgere il servizio presso di noi. Abbiamo dato disponibilità a tutti, ma dobbiamo aspettare la sentenza per sapere quante ore dovrà fare ciascuno, poiché questo dipende dal tasso alcolico. Per esempio 150 giorni di carcere diventano 300 ore. Chi è stato sorpreso con un valore superiore all’1,5 ha un grosso interesse a venire, perché se lavora bene, non ha la menzione, non paga l'ammenda e gli viene restituita la macchina confiscata. Ma devo dire che l'esperienza è stata veramente positiva, con ampia reciprocità».

Per Trentinosolidale l’ottica non è certo di sfruttare questo meccanismo per propria utilità. Anzi. «Per noi la gestione è un po' macchinosa: non ne avremmo un effettivo bisogno perché i soci sono già tanti, ma questo affidamento si è rivelata una nuova agenda di intervento. Pochissimi enti ti prendono in alternativa al carcere. E' un capitale sociale fatto di più fattori: il senso civico verso il problema drammatico delle nostre carceri, la fiducia nelle istituzioni e la collaborazione con le stesse, ma soprattutto la solidarietà verso i poveri e i detenuti. Non ha senso che queste persone vadano in carcere e invitiamo le altre associazioni a dare la disponibilità». Capita talvolta che i “lasu” si sentano realmente lavoratori utili: «Qualcuno si è trovato talmente bene - dice Ferrari - che resta tra noi come volontario».

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