Al carcere di scena l’«evasione teatrale»
Sette detenuti hanno recitato improvvisando le loro storie di vita: «Recitare? È come fumare una canna»
TRENTO. Teatro tra le sbarre: boom di applausi e di risate. Momenti indimenticabili di «evasione teatrale» nel carcere circondariale maschile Spini di Gardolo dove un gruppetto di sette detenuti, senza copione, ha messo in scena uno spettacolo di improvvisazione o, meglio, un saggio sperimentale promosso dall’associazione Toni Marci di Trento e finanziato dall’Ufficio delle politiche sociali della Provincia. Le parole suggerite di volta in volta dal pubblico e le emozioni degli ospiti suddivisi in due team hanno creato storie, contesti, vissuti, i loro: i quadri rubati, il farsi una canna, il viaggio nel deserto, la preparazione del cous - cous, la libertà desiderata. In ogni match del campo da hockey gli «attori» recitavano se stessi con la variante dell’improvvisazione. Un vero successo: in una gag dopo l’altra l’arbitro, il professionista della compagnia teatrale Federico Stefanelli, ha coinvolto anche il pubblico, altri detenuti. Il carcere complessivamente ne ospita 330: le donne sono venti, di cui metà italiane; gli uomini 310, due terzi sono stranieri. Parte di quel mondo poliglotta studia e lavora. Con la Cooperativa La Sfera coltiva cavoli, erbe aromatiche, zafferano con il marchio Galeorto. Con altre cooperative (Caleidoscopio, Chindett, Kiné, Venatura) frequenta corsi di formazione, dall’informatica all’estetica, dall’acconciatura alla panificazione, dalla pasticceria ai laboratori del benessere. All’esperienza teatrale sono coinvolte circa 20/25 persone. L’esibizione - in sala presente anche Erminio Frattini che in carcere ha portato il primo spettacolo teatrale - è durata circa un’ora poi con ordine tutti sono usciti: le donne (una ventina), gli uomini (un’ottantina), infine gli “attori” pronti per la prossima esibizione si sono concessi alle interviste. Hamidi Najb proviene dalla Tunisia, ha 39 anni, 11 di carcere. «È la prima esperienza teatrale. Recitare è come fumare una canna - ha detto il detenuto - Mi calma, mi aiuta ad affrontare insicurezze, paure, situazioni di sofferenza che si accumulano nelle celle. Sono importanti momenti di sfogo e di riflessione. Non è come il dialogo con lo psicologo. È libertà pura». Omar El Habchaoui originario del Marocco di anni ne ha 22. Ha raccontato: «Mi diverto e mi dimentico la dura convivenza. Qui non ho visite, la mia famiglia vive a Venezia, precisamente a Mestre. Li saluto e li abbraccio, soprattutto mio padre che ha problemi di salute. Mi mancate». Nell’Istituto penitenziario non sono tutte risate, qualche problema c’è. «La presenza di topi, ma solo al primo piano», ha bisbigliato qualcuno che con ironia ha aggiunto: «Ma chi sta all’ultimo piano ha il problema delle aquile». Nel carcere resta una giornata di risate, serenità, evasione sotto lo sguardo familiare delle fotografie sparse ovunque del cappellano padre Fabrizio Forti, scomparso di recente all’improvviso. «Ho già sollecitato il Ministero affinché arrivi quanto prima il nuovo cappellano. È padre Stefano Zuin dell’ordine religioso dei Comboniani. Qui la popolazione carceraria ne ha bisogno come l’aria come ha bisogno di queste realtà creative», dice il direttore Vincenzo Pappalardo.