la storia del Giro

8 giugno 1956: quando tra grandine e neve il Bondone vide spuntare Gaul

La carovana rosa era partita da Merano sotto una pioggia gelata, a Vaneze e Vason trovò la neve e termometro sotto zero. Fornara, maglia rosa, aveva 17 minuti di vantaggio: fu trovato accasciato sotto un pino. Charly Gaul arrivò solo: tu tolto a braccia dalla bici, non riusciva a piegare le gambe


Luigi SARDI


L'edizione straordinaria del giornale “L’Adige” venne gridata dagli strilloni la sera dell’8 giugno del 1956 in via Oss Mazzurana per raccontare la più drammatica tappa del Giro d’Italia; quella del Monte Bondone entrata nella storia dell’universo del ciclismo. Per il freddo con il termometro a segnare meno quattro, la grandine, la neve che, come si legge sui giornali dell’epoca, “cadeva incessante a larghe falde” e con un vento che, a tratti, aveva la forza della bufera. Ecco l’ “occhiello” del giornale diretto da Flaminio Piccoli: “Nella più drammatica tappa dolomitica che la storia ricordi”. Il titolo a caratteri di scatola: “Sul Bondone I° GAUL - che conquista la Maglia Rosa”. E poi il racconto di quell’impresa ricordata da quanti in quel giorno salirono a Trento Alta, così veniva chiamata la montagna di casa nostra, e descrissero la tappa con termini come “tregenda”, “sconvolgente”, “titanica”, “terribile”, “eroica”, “disumana”.

La “Gazzetta dello Sport” del 9 giugno, il giorno dopo la vittoria di Charly Gaul sul traguardo di Vaneze intitolava: “Sconvolgente tappa squassata dalle intemperie” e ancora “scenario di tregenda”, parlando dell’uomo del Giro indicandolo “stoico che ha superato i suoi limiti” e di corridori “che crollano uno ad uno in una giornata con condizioni mai verificatesi in nessuna corsa al mondo”.

Quella era l’epoca che vedeva le migliori firme del giornalismo dilettarsi a scrivere le cronache del Giro. Articoli molto belli, precisi, cronache dettagliate, una sfida fra le penne più autorevoli a scoprire e raccontare i particolari di una corsa che vedeva un popolo di appassionati assieparsi ai bordi delle strade, arrampicarsi sui passi dolomitici, bivaccare per ore ed ore per vedere in un solo attimo, l’idolo arrancare sui pedali e ammirare la carovana della pubblicità che precedeva gli atleti con le bellissime ragazze a distribuire sorrisi e gettare minuscoli tubetti di dentifricio o microscopici flaconi di un amaro prestigioso.

Non c’era ancora la televisione, o meglio c’era a Trento perché l’allora sindaco Nilo Piccoli l’aveva fatta arrivare nel 1953 con l’istallazione di un ripetitore sulla Paganella; la radiocronaca, in vero fatta molto bene, non bastava a soddisfare la curiosità di un mondo, anche femminile, che seguiva il Giro. Si attendevano i giornali e quel giorno la “straordinaria” si esaurì in pochi minuti, anche perché fra i corridori c’era Aldo Moser, l’idolo di casa. Che arrivò al traguardo sfinito, quasi assiderato, sconvolto, ma protagonista di una “generosissima gara” come scrisse appunto “L’Adige”.

Ecco la tappa dalla cronaca dell’epoca. “L’8 giugno lasciato Merano alle ore 9, il gruppo compatto affronta ad andatura sostenuta la strada che porta a Bolzano… all'arrivo mancano 242 chilometri e i girini devono affrontare il Costalunga, il Rolle, il Gobbera, il Broccon e infine il Bondone”, salite molto dure da scalare anche quando splende il sole. E a quei tempi le strade di alta montagna non erano asfaltate.

Era l’8 giugno e l’azzurro del giorno prima che aveva accompagnato la carovana nella salita dello Stelvio, era un ricordo. “A Merano pioveva e tirava un vento gelido. Pioggia battente per tutta la mattina; iniziò a nevicare nel primo pomeriggio. Con 2977 chilometri già nelle gambe, i ciclisti affrontavano la 21esima tappa: da Milano, il 19 maggio erano partiti in 105; solo in 87 pedalavano” dalla bellissima città del Sudtirolo diretti al Monte Bondone, che nell’inverno appena passato aveva vissuto una grande stagione dal Norge alla cima del Palon e alle Viote dove fra gli appassionati del telemark, si vedevano i primi fondisti.

La maglia rosa è sulle spalle di Pasqualino Fornara, che l’ha strappata ad Alessandro Fantini nella cronometro Livorno-Lucca. Il gruppo parte per una tappa difficile: 242 km di strade dolomitiche con il maltempo che la fa da padrone e con Fornara sempre fra i primi del gruppo. E intanto piove. Acqua gelida, senza tregua.

Ricordava anni dopo Aldo Moser: “Al Rolle la pioggia era diventata grandine fitta; scalammo il Broccon che aveva la strada bianca, cioè non asfaltata, in una tempesta di vento che soffiava con furia come d’inverno nella mia Valle di Cembra. C’era poca gente ai lati della strada, tutti intabarrati e molti con le bottiglie di grappa in mano, l’ombrello aperto che gridavano Moser Moser. Mai avevo provato tanto freddo e poi mica c’erano i materiali di oggi e le biciclette pesavano cinque chili di più delle attuali (e adesso pesano forse quindici chili di meno, il cambio è diventato uno strumento elettronico con un numero enorme di rapporti rispetto ai quattro di quegli anni) le borracce erano di alluminio, una sul telaio, due in una sorta di cestello fissato sul manubrio e il liquido che contenevano si era gelato” e tutti le buttarono. Qualcuno, in caso di foratura, portava la pompa e i palmer intrecciati sul petto. Ancora dal racconto di Moser: “Eravamo partiti da Merano con i soliti calzoncini corti e la maglietta corta anche quella e un po’ alla volta ci siamo imbottiti con fogli di giornale, mantelline, i maglioni dei meccanici che si seguivano sulle auto. Poi in discesa il tormento era ancora più forte e si rischiava di cadere ad ogni curva”.

I girini si trovarono a pedalare su strade scivolose, con la neve che cadeva sempre più fitta, con il termometro a segnare i cinque gradi, e che sul Rolle e soprattutto sul Broccon era andato sotto zero. Grandine e neve avevano imbiancato i boschi, i prati, i tetti delle case con i camini che fumavano, ma il fondo stradale era ancora sgombro; certo i piloti delle moto, e molte erano Lambrette, facevano fatica a tenere il mezzo linea. “Si può continuare”, decise il patron della corsa Vincenzo Torriani. E il Giro non si arrese.

Ancora dalla cronaca del giornale “L’Adige”: “Un nuovo colpo di scena si verifica sulle rampe del Broccon. Gaul prima leggermente attardato scatta in continuazione, il Giro passa per Castello e Pieve Tesino; si è levato il vento però a Borgo, Marter, Novaledo, Pergine la folla è sempre più fitta “e grandi scritte sull’asfalto inneggiano a Moser. Le notizie che intanto giungono dal Bondone parlano di una grande folla rifugiata negli alberghi e nelle case private - le famose e invidiate “casote in Bondon” - prontamente aperte dai proprietari per dare riparo ai semi assiderati. Passando per Trento fra due ali di folla cade Giancarlo Astrua” un atleta che, sceso dalla bicicletta diventerà la memoria storica del ciclismo biellese. Quando morì all’età di 83 anni, un giornalista ricordando la sua parlata ricca di ricordi e di verve scrisse: “Mancherà a tanti, Giancarlo Astrua, il campione che inseguiva Coppi, Bartali e apprezzava Bobet. Adesso li ha raggiunti in cielo, perché come diceva scherzando sull'età: Anche là, loro hanno voluto arrivare primi”.

Gaul con la maglia della “Faema” celebre per la macchina da caffè che aveva un fantastico design, era in testa subito dopo Piedicastello, sulle prime aspre rampe del Bondone. Dietro di lui il finimondo. Corridori quasi assiderati; Maria Garbari che diventerà insegnante al Liceo Galilei e poi protagonista di una lunga attività nella storiografia trentina e prorettrice all’ Università di Feltre, allungò una banana ad Aldo Moser che l’addentò senza sbucciarla e, forse, quel frutto lo fece arrivare al traguardo mentre crollava sfinito Pasquale Fornara che in Maglia Rosa era partito per la terz’ultima tappa precedendo di 17 minuti il lussemburghese Gaul scatenato. Ma il gelo lo stava stroncando e Fornara si arrenderà alle violenze della natura, si accascerà semisvenuto su un lato della strada, sotto i rami di un pino piegati dal peso dalla neve, abbandonando un sogno di vittoria. Scrisse “L’Adige”: “È stata la più drammatica tappa del Giro che si ricordi; si temeva per le sorti di questa edizione, perché oltre 40 si erano ritirati per semi assideramento. Sul traguardo spostato dal Vason a Vaneze, dalla nebbia fittissima compare Gaul. Dovranno toglierlo dalla biciletta, due uomini della Stradale lo prendono sotto le ascelle, lo sollevano, Gaul non riesce a piegare le gambe. Lo portano in albergo, lo mettono in una vasca piena di acqua caldissima. Una prestazione atletica impossibile da dimenticare. Dietro di lui si era creato il vuoto, il secondo a tagliare il traguardo è Alessandro Fantini con quasi 8 minuti di ritardo. Il terzo è Fiorenzo Magni con un distacco di quasi 12 minuti”.

Sono davvero pochi quelli che 71 anni fa videro il bianco e gelato finale sul Monte Bondone. Ricorda Lino Nicolussi monumento vivente della montagna di Trento. “A Vaneze c’ erano 20 centimetri di neve, al Vason 40 e non fui in grado di uscire di casa. Vidi la tappa alla televisione due ore più tardi nella trasmissione Giro a Segno di Raimondo Vianello e Ugo Tognazzi”.

Ricordava Nilo Piccoli che il 18 giugno di quell’anno veniva rieletto per la seconda volta sindaco di Trento ed era stato protagonista dello sviluppo turistico del Bondone: “Dovevo raggiungere il traguardo per premiare il vincitore. Era la terzultima tappa, quella decisiva. Ma nei tornanti sopra Sardagna la Seicento guidata dal comandante dei Vigili Urbani scivolò sulla neve e usci di strada. Ci siamo solo spaventati. Mandai un lungo telegramma a Gaul”. Da ricordare che Nilo Piccoli era direttore delle poste e telegrafi di Trento.













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